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Uno scrittore fuori dal Comune

Persone e anniversari
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Il primo aprile, in pieno lockdown, è andato in pensione Antonio Infuso, storico addetto stampa del Comune di Nichelino

nonché direttore e fondatore della rivista “Nichelino città”. 62 anni ben portati, giornalista e scrittore di un certo successo – i suoi gialli/noir hanno per protagonista il commissario Stefano Vega – Infuso si lascia alle spalle un'esperienza lavorativa di 43 anni; 38 dei quali trascorsi nel nostro Comune e, di questi, ben 25 come responsabile della comunicazione: un ruolino che lo ha fatto diventare uno dei più longevi addetti stampa di tutta la regione.

Come si sta in pensione?
«Direi molto bene. Con una leggerezza mentale che non conoscevo. L'unica cosa negativa è stata la concomitanza con la pandemia. Mi è spiaciuto non aver salutato colleghe e colleghi con una bella festa».

 Qual è il segreto per riuscire a fare l'addetto stampa per 25 anni, con diversi sindaci e assessori?
«Da addetto stampa ho attraversato sei mandati di sindaco e un commissariamento. In primo luogo, occorre mantenere sempre una dimensione istituzionale. Il Comune viene prima di tutto. Devi essere professionale, mettendo da parte la tua visione del mondo. Devi avere anche la forza di stemperare gli eccessi di taluni personalismi politici, cosa non sempre facile. Poi, occorre sensibilità psicologica. Sindaci e assessori sono individualità umane, culturali e politiche. Bisogna essere empatici e osservare i dettagli: il linguaggio verbale e quello del corpo. Devi entrare in ogni singola testa per poi poter elaborare le loro dichiarazioni e prese di posizione. Non puoi usare lo stesso stile per tutti. Diventeresti banale e perderesti di efficacia comunicativa. Infine, devi disporre di una bella dose di pazienza».

 In 38 anni di Comune hai visto molti cambiamenti. Quali ritieni più significativi?
«Di certo la rivoluzione tecnologica. Quando arrivai in Comune c'erano ancora le macchine per scrivere meccaniche con le stanghette che si incastravano. Oggi abbiamo computer, internet, social e tutto il resto. Poi, l'elezione diretta del sindaco e la legge “Bassanini”. Quest'ultima ha anche prodotto effetti negativi. In passato, ad esempio, il Segretario Generale era un dipendente del Ministero degli Interni con il compito di vegliare sull'operato dell'Amministrazione. Era anche una figura terza e di garanzia tra politica e personale. Con la “Bassanini”, il segretario è divenuto un dipendente del sindaco. Ovvio che siano cambiati gli equilibri. La figura di mediazione dei conflitti non esiste più. In passato, inoltre, il Comune disponeva di più fondi statali ma mancava di continuità politica. A ogni consiglio comunale poteva cambiare il sindaco e ne veniva nominato un altro. Oggi, con l'elezione diretta, vi è più continuità politica ma, purtroppo, sono stati tagliati i fondi statali a fronte di un ampliamento delle competenze».

Nella tua esperienza comunale hai lavorato con diversi sindaci. Che valutazione ne dai?
«Ho lavorato con nove sindaci, da Marchiaro a Tolardo, alcuni a doppio mandato. Non mi esprimo sul presente perché siete alla vigilia di una competizione elettorale e non mi sembra corretto. Ho vissuto il crepuscolo dell'era Marchiaro all'inizio degli anni Ottanta. Un sindaco che ha fatto moltissimo per Nichelino. Anche se si era creata una sorta di proconsolato che non vedeva di buon occhio i giovani neoassunti che arrivavano dall'esperienza delle battaglie studentesche. Ho un ottimo ricordo di Braga, successore di Marchiaro, sindaco per breve tempo ma con una visione moderna. Anche del biennio di Vitale. Piovano è stato un sindaco sottovalutato, il primo a elezione diretta. Proveniva dalla società civile e aveva un approccio improntato all'umanesimo. Con lui è iniziato il rinascimento di Nichelino: Giochi senza Frontiere, la riapertura del Superga, la nascita del giornale, il riconoscimento del titolo di città. Tutti percorsi nei quali ho avuto l'onore e l'onere di svolgere un ruolo tecnico importante. Poi Catizone. Già da vicesindaco, con Piovano, aveva lasciato la sua impronta, ma il suo primo quinquennio è stato fondamentale e la città ha fatto un salto di qualità. In certi momenti “abbiamo scatenato l'inferno” con Regione e Provincia per far valere le ragioni nichelinesi. La parte finale del suo secondo mandato è stata più problematica».

Parlavi di rinascimento e di salto di qualità per Nichelino. Cosa intendi?
«Per lungo tempo Nichelino è stata marchiata da un cliché anche veritiero: città dormitorio e da cronaca nera. Dal ventennio Piovano/Catizone in poi si è riusciti, in parte, a ribaltare questo luogo comune. Il Superga, le iniziative culturali, le varie campagne di sensibilizzazione sociale, il recupero di Stupinigi, i nuovi modelli di welfare, gli sportelli di ascolto, gli appuntamenti estivi, i progetti con le scuole. L'elenco sarebbe lungo. E tutto ciò ha contribuito a mutare l'immagine della città. Nichelino possiede anche risorse uniche da utilizzare: la forte tendenza aggregativa, la solidarietà, il volontariato e l'associazionismo. Una linfa vitale per tutta la comunità».

 In tutti questi anni la classe politica è cambiata?
«È cambiata a Nichelino come, del resto, in tutta Italia. La vecchia classe politica, certo criticabile per molti aspetti, era comunque piuttosto preparata. C'erano le varie scuole di partito a curarne la crescita. Oggi, in generale, vi è meno preparazione e più personalismo. A Nichelino vi sono alcune eccezioni e giovani volenterosi. Ma, in linea generale, la caduta della cosiddetta vecchia casta non è stata sempre supportata dall'arrivo di un'adeguata nouvelle vague. E Nichelino non fa eccezione».

 Tu vivi a Torino, non hai nostalgia di Nichelino?
«Occorre sapere quando è ora smettere e per me era arrivato il momento giusto. Sono andato via all'alba dello smart working che porterà vantaggi e svantaggi. Sicuramente isolerà i lavoratori e farà perdere confronto, contatto quotidiano e compattezza nelle vertenze lavorative. Ognuno diventerà un lavoratore singolo e perciò sarà più debole. Il personale è la grande ricchezza del Comune. Spesso i dipendenti si fanno in quattro, in silenzio, per sopperire a endemiche carenze organizzative e per resistere alle ingerenze politiche. Sono stato per decenni un nichelinese d'adozione e ne serberò un bel ricordo. Ho avuto la possibilità di svolgere il lavoro per il quale ero portato e, spesso, ho ricevuto attestati di fiducia, stima e rispetto da chi governava ma anche da chi stava all'opposizione. Provo, quindi, un profondo senso di gratitudine. Non posso negare una certa e umana nostalgia per il rapporto quotidiano con colleghe e colleghi. Ma si può rimanere in contatto. In modo diverso».

 Progetti per il futuro?
«Resterò, ma senza affanni, nel mondo giornalistico e mi dedicherò ai romanzi, al commissario Vega. Un'avventura iniziata per gioco ma che si è trasformata in un discreto successo editoriale. Durante il lockdown, ho scritto un racconto breve per una raccolta della casa editrice Intrecci: “Racconti dall'appartamento -Ventidue piccole storie dalla quarantena”. Il mio si intitola “Un lungo addio” e sta ricevendo ottimi consensi. È un monologo con un protagonista davvero particolare. Come autori abbiamo rinunciato alle royalties delle vendite: andranno alla Croce Rossa Italiana. Inoltre, Intrecci ha appena ripubblicato “Indagine di sola andata”, il mio primo romanzo che ha già venduto oltre 4.000 copie».