- di don Mario Aversano -
Ogni anno il cammino quaresimale ci offre l’opportunità di compiere una «transizione ecologica»,
di spostarci da ciò che inquina e abbruttisce a ciò che bonifica e restituisce a nuova bellezza. Al centro c’è la Misericordia di Dio che «con combattiva tenerezza» (Papa Francesco) interpella la nostra libertà per farci assaporare il gusto dell’identità filiale e della relazione fraterna. L’esperienza di conversione è in primo luogo un passaggio dal caos alla pace, dentro e fuori di noi. Quanto caos! Ci troviamo a fare i conti con un malessere diffuso che incrocia strettamente vicende personali e avvenimenti globali. Le ferite provocate dalla pandemia, la sofferenza dei popoli oppressi – dagli afgani agli ucraini, soltanto per citare i conflitti che sentiamo più vicini – e la sorte incerta di migliaia di profughi, la crisi economica, il disagio sociale e il risvolto del continuo calo demografico (in cui Papa Francesco rileva un «deficit di speranza») sono alcuni dei fatti che stanno producendo un senso generale di vertigine.
Non c’è dubbio che nei momenti di maggiore pressione le nostre comunità – civili e religiose – siano capaci di reazioni sorprendenti: la mobilitazione delle associazioni di volontariato e delle istituzioni, le capacità di fronteggiamento delle famiglie e dei singoli riescono a generare risposte rapide e generose. È stato cosi nel corso del primo lockdown e sta nuovamente accadendo adesso a favore del popolo ucraino, ma non possiamo ignorare che questi eventi traumatici producano contratture dell’anima e sofferenze psicologiche che vanno sedimentandosi dentro di noi. In forza di questi urti, osserviamo sintomi di malessere che stanno gravando soprattutto sugli adolescenti e sugli anziani: ogni persona ha bisogno di immaginare e progettare il futuro, sperimentare l’affidabilità della vita, senza precipitare in uno stato di incertezza cronica. Soprattutto abbiamo la necessità di comunicare e condividere con altre persone le preoccupazioni (la stanchezza, il senso di inadeguatezza, la delusione) e i desideri più autentici (l’amore, la solidarietà, la ricerca della pace). In questi mesi abbiamo spesso (auto)osservato un movimento nevrotico: le persone si trovano a rimbalzare letteralmente dalla generosità all’insofferenza, dallo slancio coraggioso alla paura, dall’apertura ai grandi ideali alla chiusura nella propria sfera privata. Ci è stato ripetuto più volte che «non ci si salva da soli», ma siamo tentati dalla pulsione istintiva del «si salvi chi può».
Dentro di noi sperimentiamo questa tensione: noi procediamo tra disillusioni e aspirazioni, tra cadute e ricominciamenti. Conviene prenderne atto e accettarlo, senza lasciarsi ipnotizzare dalla fantasia di poter cambiare tutto o dalla rassegnazione di non poterci fare nulla. È delirante ogni forma di pensiero massimalista.
L’annuncio del Vangelo ci conduce a cercare l’azione dello Spirito proprio nella storia che stiamo vivendo. Per un battezzato non esiste cammino di discepolato se non in compagnia delle sorelle e dei fratelli, delle donne e degli uomini che sono con noi «dentro la stessa barca». Siamo continuamente chiamati a decidere che cosa fare della nostra fragilità: il terreno del dialogo e della comunione o l’alibi per il disimpegno e l’arroganza? Il cammino quaresimale – attraverso l’esperienza autentica del digiuno, della preghiera e della carità – vuole farci riconciliare con la nostra debolezza, con la vulnerabilità che il Signore Gesù ha assunto per amarci. È questo il senso della santità, cioè della vita battesimale, filiale e fraterna, fatta di piccoli passi, di progressioni possibili, come ne parla Papa Francesco: «Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché́ hai la forza dello Spirito Santo affinché́ sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita. Quando senti la tentazione di invischiarti nella tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore».
Don Mario Aversano