13
Sab, Dic
96 New Articles

Antichi orizzonti

Come eravamo
Typography
  • Smaller Small Medium Big Bigger
  • Default Helvetica Segoe Georgia Times

Nichelino negli anni '30 era un piccolo paese di circa cinquemila abitanti

in cui lo scorrere della vita, come nei paesi limitrofi, aveva radici antiche.

Ai lati delle strade più importanti c’erano ancora i fossi di scolo dell’acqua piovana, Per accedere alle case si passava su robusti cavalca fossi. Di fronte ai negozi c’erano brevi marciapiedi e sulle facciate delle “piole” (osterie) pendevano degli anelli di ferro affissi nel muro. Quando i carrettieri desideravano fare una breve sosta per un bicchiere di vino o un cicchetto di liquore legavano i cavalli agli anelli.  

Le attività commerciali o artigianali erano quasi tutte ubicate sulla via Torino, lo stradone per Pinerolo. A intervalli quasi regolari si trovavano, se ricordo bene, ben sette osterie con un salone dove si giocava a carte o si consumava uno spuntino. D’estate alcune avevano un ampio pergolato, il gioco da bocce e qualcuna il bigliardo. Un’osteria che si affacciava sulla piazza del Comune aveva ancora la scritta “Con stallaggio”.

Molte attività che all’epoca erano fiorenti ora sono scomparse, come i cestai e i sellai, che fornivano i finimenti per i cavalli. Sul lato destro di via Torino, dopo la Crociera e prima del municipio, c’era uno spazio dove sostavano i cavalli in attesa di essere ferrati. Sotto una tettoia il maniscalco, munito di grosse pinze, prendeva dalla forgia, azionata da un aiutante, l’apposito ferro rovente e lo inchiodava sullo zoccolo del cavallo. Sempre sul lato destro di via Torino, poco prima della stazione, c’era il carraio, un abile artigiano che costruiva “tumbarei” (appositi carri per il trasporto della sabbia), barrocci ed eleganti calessini per le persone benestanti. 

Alcuni personaggi si distinguevano per il loro comportamento o per alcune peculiarità che li caratterizzavano. Ad esempio ricordo “Teresun”, innamorata del “nettare di Bacco” e pertanto sempre ubriaca, attaccava briga facilmente e dalle sue ire non si salvavano neanche le maestre delle sue figliole. Molto noti erano anche i “Pulega”, a cui il Re Vittorio Emanuele II aveva fatto costruire nei pressi del ponte sul Sangone una capiente casa di legno, premio concesso da Sua Maestà, perché era la famiglia più numerosa del Piemonte, questa famiglia aveva anche la fama di essere la più acerrima nemica dell'igiene...

Ricordo i venditori ambulanti, i merciai, tra i quali spiccava un cinese che vendeva solo cravatte. Aveva, come molti merciai, una piccola piattaforma sul torace, fissata con due lacci, dove esponeva la sua merce gridando “clavatte!”.  Altri piccoli artigiani con una modesta attrezzatura, offrivano la loro opera di porta in porta: lo stagnaro gridava “aiè ‘l stagnin brau!”, l'arrotino “mulita, mulita, mulitaaaaa…”, l'ombrellaio “paracqua, paracqua!”. Ogni tanto passavano il venditore di scope e lo “strasè”, lo stracciaiolo con il suo grosso sacco. Quando lo vedevo fuggivo, avevo una paura boia, temevo che mi mettesse nel sacco e mi portasse dall'orco.

Durante l'estate passavano gli spazzacamini con la loro attrezzatura sulle spalle, erano sempre in coppia, un uomo adulto e un ragazzino magrissimo, i loro vestiti e la loro pelle erano ricoperti da un nero strato di fuliggine. Nei periodi della transumanza i pastori, con l'aiuto dei cani, invadevano con le loro greggi le nostre strade. Poco prima di Natale facevano la loro comparsa gli zampognari abruzzesi.

Altri personaggi più o meno folkloristici percorrevano le strade, come il dispensatore di musica, che con il suo cappello a cilindro, ornato con piume di pavone. Era seguito da un asinello che trainava un marchingegno a due ruote simile a un pianoforte verticale: il “musicante” inseriva una scheda traforata, azionava una manovella e diffondeva una musichetta stridula con i motivetti in voga. C'erano anche dei cantanti girovaghi, non sempre intonati, che andavano di cortile in cortile a esibire il loro “talento canoro”, al termine della performance dai balconi pioveva qualche monetina. Anche quello era un modo per campare.

Non bisogna dimenticare l'elargitore di fortuna: aveva un pappagallo su un trespolo che a comando estraeva con il becco da una cassetta il “pianeta” (foglietto) della fortuna e con pochi centesimi l'acquirente aveva la possibilità di conoscere il suo “roseo” futuro”, nonché i numeri da giocare al lotto, quasi sicuri... Non mancavano i saltimbanchi: alle loro modeste esibizioni noi ragazzini assistevamo estasiati.

Di tanto in tanto compariva anche una strana coppia con un grosso orso incatenato, munito di museruola. Si fermavano in uno spiazzo e si formava un capannello di curiosi, l'uomo con un piffero intonava un motivetto e l'orso prontamente si rizzava sulle zampe posteriori, iniziando a ballare e la donna con un piattino raccoglieva le offerte tra gli astanti.

Orazio Ottaviani