Quando don Joe ci ha lasciati aveva 54 anni. Quell'8 febbraio del 2007 è rimasta una data drammatica e tragica non solo per la comunità parrocchiale della SantissimaTrinità, ma per tutta la città di Nichelino.
Ma lui non fu solo il prete del Gruppo Sportivo Don Bosco, la sua piccola e grande creatura. Don Joseph Galea, per tutti semplicemente don Joe, era un uomo a suo modo iconico: aveva una personalità spiccata, levantina, a volte non facile. Di bell’aspetto, vestiva in modo informale ma sempre elegante e preciso. Era pronto a condividere con chi gli stava accanto momenti diversi di convivialità proprio nello stile della sua terra d’origine. Non era simpatico a tutti, ma sapeva parlare con chiunque, specialmente con quelli che in chiesa, in parrocchia non ci andavano mai. Spesso i suoi atteggiamenti disturbavano chi era più legato a una figura di sacerdote più tradizionale: lui ci ha sofferto, tanto, ma ha tirato avanti per la sua strada cercando comunque di non perdere nessuna delle sue pecore. Proprio da buon pastore.
Da buon pastore pensò di allargare il gregge all’ombra del campanile: trasformò il campetto dell’oratorio di via San Matteo in un campo di allenamento per i bambini. Coinvolse da subito decine di persone, tutti volontari. Fu una rivoluzione. In parrocchia oltre alle attività di quegli anni, i campi estivi, la raccolta-carta, gli esercizi spirituali, i gruppi di preghiera e di sostegno ai più poveri in poco tempo esplose letteralmente il gruppo sportivo da lui fortemente voluto e chiamato con il nome del Santo dei giovani. Aiutato da tanti amici in poco tempo riuscì a realizzare, a fianco della chiesa succursale di viale Kennedy, un campo da calcio che divenne poi un vero e proprio centro sportivo dove per anni si sono avvicendati centinaia di bambini, giovani, genitori, allenatori e tecnici.
Senza offesa e con buona pace per tutti, Viale Kennedy divenne il punto di riferimento per il calcio cittadino e il G.S. Don Bosco la principale società calcistica non solo nel settore giovanile, ma anche con un prima squadra che scalò le classifiche fino ad approdare in Eccellenza.
Era anche e soprattutto il viceparroco di SS. Trinità. Con i bambini del catechismo aveva un rapporto privilegiato e durante la Messa delle ore 10 “ritagliava” una predica su misura come un sarto proprio per loro, a volte dilungandosi, raccontando quelle che lui definiva “storielle” che finivano per affascinare e catturare l’attenzione anche dei più grandi. Rimise a nuovo la Radio N.C., seguiva le giovani coppie nella preparazione al matrimonio e la comunità di San Vincenzo de' Paoli. Insomma un pilastro della vita quotidiana in parrocchia.
Così, quando il parroco don Paolo Gariglio, all’alba dei suoi 75 anni si accingeva a passare la mano, tutti appresero con favore la decisione del Vescovo di nominare don Joe Galea “co-parroco” . Don Joe si buttò nel suo nuovo incarico con forza e decisione ma anche con timore, conscio dell’importanza del suo nuovo ruolo e anche degli immancabili paragoni che nascono in questi casi. Coinvolse nuove persone nella gestione della parrocchia e ampliò il consiglio pastorale: fece suo lo slogan del predecessore, conservare rinnovando, che voleva dire mantenere tutte le attività parrocchiali infondendo nuova linfa. Furono mesi intensi dove don Joe profuse tutte le sue energie: fedele alla sua vocazione di sacerdote, organizzò e promosse gli incontri dei gruppi famiglia parrocchiali, fece rinnovare il salone del Conventino aprendolo ai giovani per le attività della settimana e diede forma al gruppo manutenzione. Fedele a se stesso e alle sue passioni e quindi alla sua indole di calciofilo impenitente, arrivò ad installare una parabola televisiva in Valle Stretta per seguire il Mondiale di Calcio che vide l’Italia trionfare a Berlino, conquistando così definitivamente i “suoi” ragazzi nell’estate del 2006.
Furono pochi mesi però. Pochi mesi, non anni come tutti avremmo voluto. Tra l’autunno del 2006 e il gennaio 2007 tutto precipitò. Un primo e poi un secondo ricovero all’Ospedale Cottolengo. A chi lo assisteva e a chi lo andava a trovare regalava sorrisi e buone parole. Una malattia incurabile lo stroncò tra mille dolori. Furono giorni tristi: il giorno del suo funerale la chiesa grande di SS. Trinità era stracolma e in piazza della Libertà venne allestito un maxi-schermo per permettere alla folla di seguire le esequie. Un centinaio di parrocchiani, il giorno dopo, accompagnarono la salma volando fino a Malta, per tributare l’estremo saluto insieme ai famigliari ed agli amici gozitani nella chiesa di Fontana sobborgo di Victoria, sua città natale.
Quindici anni dopo è rimasto nel cuore di molti il suo sorriso, il suo sguardo profondo, il suo parlare a volte strano, il suo affetto incondizionato e gratuito per chiunque lo avvicinava. E’ rimasto un legame profondo con i suoi amici di Gozo, è nato un gemellaggio con la città di Victoria, capoluogo dell’isola, un gemellaggio che deve continuare e deve essere alimentato proprio in sua memoria, nonché dell’altro “angelo” piovuto da quell’isola a Nichelino, don Joshua Muscat, che per poco tempo ha toccato la nostra strada e le nostre anime.
Sono rimaste anche le cose cattive, tante calunnie che lo avevano toccato e colpito alle quali non aveva mai risposto direttamente ma continuando, magari con la morte nel cuore, il suo cammino sacerdotale.
Non è rimasto il Gruppo Sportivo Don Bosco, la sua creatura prediletta: c’è chi non ci passa più in viale Kennedy perché “… mi viene male a vedere quel vuoto…”. Non ci sono più le centinaia di bambini, ragazzi e volontari che animavano i campi da calcio tutti i santi giorni. Non è stato possibile, non sì è riusciti a mantenere in piedi quel vero e proprio miracolo imbastito con tenacia e fatica da don Joe, che era solito farsi carico personalmente dei problemi e delle responsabilità, delle preoccupazioni e della gestione economica e condividere con i collaboratori spesso solo le cose belle.
“Caro Joe, ci manchi tanto”, “Ciao don Joe, sempre nei nostri cuori”: frasi scritte e lette dopo la sua morte. Sappiamo che ci ha voluto bene, al di là di quanto è stato amato. Ma a lui non importava: perché lui fondamentalmente era un sacerdote missionario, arrivato nelle nostre terre per amare il prossimo. Per questo, sì, ci manchi e ti ricordiamo sempre tra noi.
GF