Benedetta Bianchi Porro nasce nel paese di Dovadola (Forlì) nel 1936.
Ancora in fasce, il padre Guido ingegnere termale, decide di trasferirsi con la famiglia in Lombardia. Benedetta è la seconda di sei figli. A tre mesi è colpita da poliomielite, ne esce guarita, ma rimane con una gamba più corta dell’altra. I ragazzetti del paese la chiamavano "la zoppetta", ma lei non si offendeva: "dicono la verità ". Nel '51 i Bianchi Porro si trasferiscono a Sirmione del Garda. Studentessa brillantissima, decide di iscriversi a Milano alla facoltà di fisica, ma dopo un mese cambia e passa a medicina. Il suo sogno è curare chi soffre e supera gli esami, nonostante lo stato di salute molto precario. Dotata di una capacità diagnostica davvero eccezionale capisce, per prima, che la malattia di cui soffre è il morbo di Recklinghausen. È una malattia rarissima che provoca tanti piccoli tumori che minano il sistema nervoso. Di lì a poco perde vista e udito; sarà costretta ad indossare un busto dolorosissimo per contenere le ossa che si deformano.
Benedetta, nonostante le sue condizioni fisiche vadano peggiorando, continua a studiare e stupire per la grande capacità di analisi anche se diversi professori si domandano come possa diventare medico una persona così devastata. In quel corpo che pare un campo di battaglia per il moltiplicarsi dei mali arriva anche la paralisi totale. Immobile, bisognosa di tutto, sente che la disperazione sta arrivando. Solo il cervello funziona e le suggerisce un nome: Lourdes.
È l'ultima speranza. Va e torna apparentemente come prima, ma la folla, gli ammalati, la fede di tanta gente l’hanno talmente incuriosita da decidere di tornarvi. Non guarirà fisicamente, ma avrà in dono una fede incrollabile. Da quel giorno la sua vocazione sarà vivere serenamente il male e essere di conforto per gli altri. Sono i miracoli che solo Lui sa fare. Non si sa come, ma continuano ad arrivare lettere e la sua mano malferma risponde, aiuta, conforta. È un tam-tam che diventa un fiume in piena. Ammalati che le parlano delle loro sofferenze, che chiedono preghiere e consolazione, lei risponde a tutti, prega per tutti. Sono pagine che parlano dell’amore di Cristo che danno fiducia e speranza. Pagine di una misericordiosa intensità e di una spiritualità così elevata che chi le legge non può non sentirsi coinvolto. Anche la sua casa diventa luogo di incontro, di preghiera di misericordia e di pace: “io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili, la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo” .
Sirmione, mattino del 23 gennaio 1964. Benedetta chiede alla madre di leggerle la pagina conclusiva de “La storia di un’anima” di S. Teresa di Lisieux. Un uccellino si posa sulla finestra. Lei, che da mesi non riusciva quasi più a parlare, trova la forza di intonare una vecchia canzone "Rondinella pellegrina". La sua voce limpida e nuova stupisce i presenti. Emilia, l’infermiera, piena di commozione esclama: "Signora, non sente, questa è una voce che viene dal cielo”. Sono gli ultimi istanti della vita terrena di Benedetta. Una rosa bianca fiorisce fuori stagione nel giardino.
Il 14 settembre 2019 nella cattedrale di Forlì la cerimonia di beatificazione. Aveva 27 anni
Marcello Aguzzi