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Dom, Dic
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Il degrado urbano e la "teoria dei vetri rotti"

Inchieste
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Vale ancora  la teoria dei “vetri rotti”, elaborata una cinquantina di anni fa dopo il celebre esperimento di psicologia sociale del professor Philip Zimbardo all’Università di Stanford.

Vennero utilizzate due normali auto: la prima fu lasciata nel quartiere povero e malfamato del Bronx; la seconda fu parcheggiata in una tranquilla e agiata zona residenziale a Palo Alto in California. Nel Bronx la macchina fu vandalizzata e distrutta nel giro di pochi giorni, appena gli abitanti si resero conto che era abbandonata. Quella di Palo Alto invece rimase completamente integra. 

Scontato, si dirà. Ma l’esperimento non finiva qui. A questo punto i ricercatori spaccarono un vetro della macchina di Palo Alto e, ritornati sul posto dopo qualche giorno,  con una certa sorpresa constatarono che il veicolo abbandonato nel “quartiere bene” aveva fatto la stessa identica fine di quella del Bronx, cioè era rimasta solo la carcassa.

L’esperimento dei “vetri rotti” calza a pennello su molteplici aspetti della vita sociale quotidiana. Da chi butta l’immondizia in giro, alla panchina rotta; dalla scritta sul muro, all’insulto lanciato via facebook. Una falla, anche piccola, nell’ambiente che ci circonda può generare un effetto moltiplicatore dando la sensazione che non esistano regole e che tutto sia ammesso. Il vandalismo produce altro vandalismo aumentando la delinquenza e la percezione di insicurezza.

Non è la povertà la prima causa del degrado urbano, ma il controllo sociale che viene meno. Si innesta una spirale che, partendo da episodi isolati e magari marginali, è in grado di produrre un crescendo di danni nella sfera collettiva. Comincia uno a buttare un sacchetto di immondizia, dopo un po’ ne arriva un altro, poi un copertone, un divano, una lavatrice… e il luogo ben presto si trasforma in discarica abusiva. 

Un classico della teoria dei vetri rotti è la sorte delle fabbriche dismesse (si vedano i casi di alcuni capannoni di Mirafiori o dell’ex Viberti). Cresce la vegetazione intorno, qualcuno spacca una finestra ed entra, comincia il via vai, fino al primo rave party che scatena la completa devastazione.

Gli immobili abbandonati stanno diventando un problema in tutte le città e anche a Nichelino alcuni casi stanno diventando abbastanza eclatanti.

Per esempio in via Moncenisio c’è un complesso di vecchie costruzioni in rovina. Tanti anni fa lì c’era il macello del paese; poi il complesso si è ampliato con alcuni capannoni e per alcuni decenni ha ospitato attività economiche (concessionario d’auto, meccanici, carrozzerie, magazzini). Era stato approvato un P.e.c., cioè un nuovo insediamento abitativo, ma poi la crisi dell’edilizia, le vicende delle società costruttrici e un lungo contenzioso hanno bloccato tutto. L’anno scorso sono stati rimossi i tetti (c’erano anche coperture in eternit) e in piedi sono rimasti solo gli scheletri degli edifici: uno scenario da post-bombardamento.

In via Diaz è rimasto in piedi (chissà ancora per quanto) un capannone ora fatiscente che doveva essere demolito per fare spazio a un nuovo condominio.  

Una delle situazioni più compromesse si trova però in zona San Quirico. L’omonimo cascinale è stato parzialmente rifatto per ospitare abitazioni e attività commerciali che però non sono mai decollate e i nuovi locali sono completamente vuoti. 

Altri scorci poco gradevoli si possono vedere in via dei Martiri, via XXV Aprile e a macchia di leopardo un po’ per tutta la città. Si potrebbero poi citare i cascinali del concentrico di Stupinigi a cominciare da Castelvecchio, ma questo merita un discorso a parte.

Angoli della città come brandelli di civiltà sepolte dalla giungla. All’interno dei siti proliferano topi ed altra fauna, ogni tanto viene giù qualche tegola e si stacca un pezzo di intonaco. Il vicinato protesta e si incattivisce, perché ci sono le erbacce alte due metri e lì tutti buttano immondizia, perché scrivono graffiti sui  muri, perché la città è buia e non c’è sicurezza. La teoria dei vetri rotti purtroppo funziona davvero.