- di don Riccardo Robella -
"La nostra è l’epoca in cui dominano indifferenza, superficialità, banalità. Il suo colore è il grigio...". Così cita in un passaggio di un’intervista il card. Ravasi, quando il suo interlocutore gli domanda della situazione spirituale contemporanea.
Indubbiamente la visione può sembrare pessimistica, eppure è profondamente provocatoria nei nostri confronti.
Probabilmente non ce ne rendiamo conto, ma questi anni sono un crocevia molto importante per la storia dell’Occidente. Dopo secoli di dominio incontrastato sul mondo, di scoperte ed invenzioni che ci hanno spinto a progredire, ci scopriamo, per la prima volta a nostra memoria, vecchi, deboli ed incapaci di pensare con ottimismo al futuro.
Questa sorta di paura inconscia si riflette nel nostro modo d’intendere l’esistenza: indifferenza, superficialità e banalità. Mi pare che siano proprio questi i meccanismi di difesa perfetti, perché ci permettono di chiuderci a guscio in noi stessi, perdendo lo sguardo sul mondo (salvo quando i mass media ci vomitano addosso tutti i mali dell’umanità addossandocene tutta la responsabilità ed ingenerando fittizi sensi di colpa).
In questo modo pensiamo di difendere quello spazio di sopravvivenza che a fatica ci siamo creati. La superficialità e la banalità poi ci disimpegnano dal cercare, dall’approfondire ed in ultima analisi, dal metterci in gioco… la “comfort zone” rischia di diventare quel nido dal quale diventa difficile uscire. Ed ecco che il grigio diventa il colore dominante… nulla ha più una sua connotazione precisa, ma va tutto bene; la valutazione, il giudizio sulle cose non sono più possibili per paura di offendere o discriminare e così perdiamo la spinta propulsiva che ci ha fatti grandi. “Vagliate tutto, tenete il bello” diceva S. Paolo ai cristiani di Tessalonica. Oggi invece mi pare che si faccia passare tutto trattenendo lo sciatto ed il bruttino. In questo quadro trovo preoccupante il fatto che da tanti anni si sia smesso di credere nel futuro: i nostri bambini, viziati, coccolati, ma resi incapaci di affrontare la vita, mi pare siano visti in funzione degli adulti e dunque sacrificabili alle esigenze dei grandi.
Spiacente, ma una cultura che a parole dice di guardare al progresso, ma nei fatti vuol difendere il passato a discapito dell’avvenire è destinata ad avere il fiato sempre più corto.
In questo panorama fosco allora dobbiamo vedere un futuro apocalittico?
Assolutamente no! Dobbiamo invece guardare l’avvenimento “escatologico”; dobbiamo cioè vincere la tentazione della disperazione e del catastrofismo, per lasciare spazio a Dio ed alla Sua azione di salvezza del mondo, salvezza che, se obbediamo alla Parola, si rinnova ad ogni generazione.
Già, ma come fare?
Con l’intelligenza, cioè la capacità di guardare oltre noi stessi, per cogliere la profondità della realtà, che è l’antidoto all’indifferenza; con lo studio e l’approfondimento, antidoti alla superficialità e con la ricerca del bello e del complesso, antidoto alla banalità.
E dove cercare? Dove trovare tutto ciò?
Ma che domande… a Betlemme, dove un bambino ci racconta che, se il nostro sguardo torna in Dio, allora c’è un futuro per noi e che la luce può risplendere…e la luce non è mai grigia, ma ha tanti colori e tante sfumature!
Don Riccardo Robella