Ho letto con attenzione l'articolo “Congo dimenticato” , tratto dal periodico “Nigrizia”, da voi proposto sull'ultimo numero del giornale Nichelino Comunità.
Uno dei tanti scritti, che, insieme alle parole dette ed ai commenti, hanno animato la settimana del tragico evento in cui hanno perso la vita l’Ambasciatore italiano in R.D.C. ed i suoi compagni di viaggio.
E’ un interesse non occasionale il mio: nel 2009, 2012, 2015 ho avuto modo di soggiornare proprio in quelle terre del NordvEst, il Kivu, forse la provincia congolese più sconvolta e martoriata dalla violenza, perché provincia di confine, distante da Kinshasa 2.500 km. e quindi “sfuggente” al controllo centrale (in Congo il 90% delle strade è privo della manutenzione e consiste in piste sterrate e fangose).
Già in quegli anni si percepiva, era palese la precarietà della vita, messa a dura prova, non solo dalla povertà, ma soprattutto dal confronto quotidiano con la minaccia delle armi...sarebbe troppo lungo descrivere la tensione emotiva vissuta laggiù e gli episodi che l'hanno generata.
L'articolo di Nigrizia parla degli ultimi venti anni. Padre Giovanni Piumatti, presso la cui Missione siamo stati ospitati allora, ha vissuto 45 anni della sua vita in R.D.C. e descrive una situazione presente da sempre con periodi di accelerazione legati alle guerre “per la gestione nazionale”, scatenatesi dopo l'indipendenza dal Belgio nel 1960. Kasawubu, Lumumba, Mobutu, i due Kabila...forse questi nomi a chi ha qualche anno in più alle spalle, ricordano qualcosa. In periodi più recenti il caos sostenuto “dall'esterno” si è manifestato “a macchia di leopardo” .
E' indubbio: quest'ultimo anno abbiamo assistito ad un'escalation di questo caos indotto, che si è concretizzato in innumerevoli massacri di civili ad opera di miliziani non ben definibili nella nazionalità o politicamente (almeno in via ufficiale).
Sono ancora in contatto con le persone conosciute laggiù ed ovviamente con Padre Piumatti e davvero è quasi quotidiano l'aggiornamento sugli eventi di sangue che la gente deve subire su quelle strade che anche noi abbiamo percorso, in quei villaggi che abbiamo attraversato.
In Congo è uno stillicidio continuo, ovunque si voglia generare terrore tra la popolazione per poter perseguire traffici illeciti, legati alle “materie prime” (ma di questo hanno parlato a sufficienza i media).
Vorrei quindi condividere lo sgomento e il dolore, per l'acuirsi di una violenza cercata, voluta, creata ad arte che si ripercuote esclusivamente sui civili, persone che abbiamo conosciuto ed imparato a stimare, alle quali, in qualche modo, abbiamo voluto bene.
E’ mio timore che purtroppo non si potrà assistere tanto presto ad una diminuzione della violenza: troppa è oggi la richiesta da parte dei paesi “industrializzati” delle ricchezze geologiche del Congo.
In questo momento penso alla “spinta” a cui è stata soggetta l'elettronica in generale, anche solo in quest'ultimo anno che ci ha visto dipendere totalmente dalle tecnologie informatiche di comunicazione a seguito della clausura imposta dalla pandemia. Penso ancora a quanto si stia accelerando sul falso miraggio dell'elettrificazione dei trasporti, considerata panacea di ogni inquinamento. Penso a quanto possa essere pressante la ricerca dei componenti essenziali per la realizzazione di batterie, circuiti ecc. (coltan, cobalto, cassiterite...)
E' una lotta quotidiana, una guerra trasversale tra Nazioni, non dichiarata, fatta combattere ad “altri”, per accaparrarsi quanto più possibile, al prezzo più basso sul mercato (il contrabbando), al costo più alto in vite umane.
Ecco, questa è un po' la questione su cui, da tempo, vogliamo mantenere l'attenzione, anche a Nichelino e come Gruppo Missionario nella parrocchia Madonna della Fiducia: stimolare la piena consapevolezza del “valore di sofferenza” che è all'origine di tanti beni di cui possiamo usufruire giornalmente, nella constatazione che il futuro tecnologico, alimentare, “di consumo” che ci viene proposto quotidianamente dai media, dalle pubblicità, passerà sempre di più, e non solo in Congo, sopra i cadaveri di tanti innocenti.
E' una consapevolezza che non aiuterà ad arrestare un meccanismo purtroppo ormai consolidato, ma che crediamo, una volta acquisita, ci possa indirizzare in tante nostre scelte, oggi e nel prossimo futuro.
La stessa consapevolezza che ci dovrebbe consentire di essere “meno ostili” nell'accettare il gigantesco fenomeno migratorio contemporaneo, di chi fugge da casa, per povertà, per paura, per trovare una speranza di vita dignitosa.
Umberto Escoffier