Scherzi del destino. Ci eravamo quasi convinti di esserci finalmente liberati dalle famigerate, ancorché utilissime, borse di plastica (che per decenni hanno intasato ogni angolo del globo) ed ecco che una nuova onda inaspettata è già arrivata.
La pandemia purtroppo non è plastic free. Anzi, in questi ultimi mesi pure la curva degli oggetti di plastica di uso comune è tornata ad impennarsi. A cominciare dalle mascherine che per lo più contengono polipropilene, poliuretano, poliacrilonitrile e altre amenità. Per proseguire con i guanti che naturalmente – si fa per dire – sono di nitrile e polietilene. Uno studio del Politecnico ha stimato che nella fase 2 nel solo Piemonte abbiamo consumato al mese qualcosa come 80 milioni di mascherine, 750 metri cubi di gel igienizzante per le mani e 38 milioni di guanti.
Che fine faranno tutte queste mascherine usate?
C’è una nutrita letteratura sui sistemi di smaltimento; qualcuno consiglia di non buttarle come capita nell’indifferenziata, ma di inserirle in un sacchetto a parte, anch’esso presumibilmente di plastica. Comunque sia, non di rado capita di vederle abbandonate sui marciapiedi e un triste presagio lascia pensare che queste mascherine, praticamente indistruttibili, a fine ciclo andranno ad ingrossare la mitica isola galleggiante al largo del Pacifico.
Giusto per gradire, è appena il caso di accennare al fatto che buona parte dei gel mani pulite e igienizzanti si trovano in flaconi rigorosamente di plastica. Ciò a prescindere dal contenuto (in genere a base di alcol metilico o candeggina più o meno diluita) che oscilla tra il concetto di “toccasana” a quello del “non gettare nel lavandino, può inquinare i fiumi”.
Ma questo sarebbe ancora il meno. La pandemia ha provocato un nuovo tripudio di vaschette, blister, contenitori e ammennicoli vari, a cominciare da quando si va in mensa o al supermercato.
Provate un po' a immaginare di cosa sono fatti questi imballaggi?
Tutto monouso, monodose, monoposto...
Civis 3
