Una storia di sport, che dura ormai da 50 anni. Come sicuramente tante altre, che rendono la nostra città migliore di quello che appare.
Una storia personale, quella di Maria Pia Bellato, chesi è intrecciata con l’evoluzione e la crescita di Nichelino: da città dormitorio a protagonista dei cambiamenti. In quest’ottica le tante associazioni sportive del territorio hanno dato un grosso contributo. E il pensiero va ai leader che hanno guidato per anni queste associazioni, con vero spirito altruistico, ma che con il passar del tempo rischiano di essere dimenticati.
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A 18 anni ho scoperto che “Madre Natura” mi aveva dato il dono della forza fisica, in particolare la predisposizione alla corsa. L’ho scoperto tardi, prima non c’erano state né le condizioni e né il tempo. Sono nata nel Polesine, a gennaio del 1952, in piena alluvione; famiglia numerosa: nona di 11 fratelli. Mio papà era un agricoltore e a 10 anni ero già sul trattore; in quanto donna, era lontano anni luce il pensiero di poter praticare sport.
Siamo immigrati a Torino nel 1967 (all’età di 15 anni) e subito ho trovato lavoro.
Mi piaceva il calcio e nel 1970 sono entrata a far parte del “Real Torino”, squadra femminile iscritta al campionato di serie A. Ero riserva, mai giocato a calcio in vita mia.
Con il pallone ho sempre “bisticciato”, ma quando c’era da marcare qualche attaccante forte o fare allunghi lungo la fascia, potevo dire la mia. Dopo qualche anno sono stata ceduta alla Biellese (serie B) e lì ero titolare (mediano di rottura). Sono stati anni entusiasmanti; non era solo calcio. Entrava in gioco la forza del gruppo: genitori, fidanzati, mariti e sostenitori.
Nel 1981 è nato Andrea e continuare a giocare a calcio era diventato un po’ complicato; più semplice era correre al Boschetto e partecipare alle gare domenicali su distanze intorno ai 10 Km. Mi piazzavo spesso nelle prime 3 classificate della mia categoria e tanto per dare un’idea percorrevo circa 2.000 Km l’anno. L’iscrizione al G.S. Atletica Nichelino di Michele Sanvido è venuta spontanea (amore a prima vista). Ogni anno si svolgevano anche i campionati regionali e nazionali su pista (velocità e mezzo fondo) ed è in questo ambito che ho espresso il meglio delle mie potenzialità. Sentivo che ero nata per correre. Non sto a tediarvi sui numerosi titoli di “campione” che ho conseguito (correvo i 200 metri in 29 secondi netti e gli 800 in 2 minuti e 33 secondi).
Ma “l’appetito vien mangiando” ed è venuto naturale cimentarmi anche con la maratona (42,195 Km), la madre di tutte le corse (un po’ come andare in guerra e tornare vivi). E dai e dai, corri e corri sono arrivata al dignitoso tempo di 3 ore e 13 min.
La corsa ha il difetto di essere traumatica per le articolazioni, in particolare per le ginocchia, e sono arrivata al punto di doverla sospendere. Siamo nel 1998 (46 anni) e nel mio quartiere il “G. S. Castello Hesperia”, guidato da Francesco Tripodi e Mario Filiziu, mi invita a far parte della nuova squadra di calcio femminile (serie C). Le mie ginocchia reggono e per 8 anni, fino alla soglia dei 54 anni, riprendo l’attività calcistica. Avevo già i capelli bianchi, ma in campo, correndo ancora in scioltezza, riuscivo a confondere le idee circa la mia età anagrafica.
Chiusa questa stagione scopro che è nata una nuova disciplina: la camminata sportiva (tecnica inventata dai famosi fratelli Damilano), molto meno traumatica rispetto alla corsa.Avendo la capacità di camminare per più ore consecutive senza battere ciglio riuscivo a portare a termine la maratona rimanendo nel tempo massimo delle 6 ore (in concreto riesco a completarla in 5 ore e 45 minuti).
Ma la storia non finisce qui. Oltre alla maratona, esistono anche le ultra-maratone, cioè gare che superano la distanza dei 42,125 Km come ad esempio le classiche 100 Km e 24 ore. E qui entriamo in un mondo tutto particolare, in cui per raggiungere il traguardo finale serve testa al 70% e gambe al 30% (questa è l’idea che mi sono fatta). Ad oggi, tra maratone e ultra-maratone, ho portato a termine 74 gare e merita menzionare l’ultra-maratona più famosa d’Europa, che si corre ogni anno da oltre 40 anni nell’ultimo sabato di maggio: è la mitica “100 Km del Passatore”, da Firenze a Faenza, alla quale partecipano più di 2.000 persone. Si parte da Firenze alle ore 15 del sabato ed io solitamente arrivo a Faenza il mattino successivo intorno alle 7,30 per un totale di 16 ore e mezzo. Partecipare a questa competizione ha un sapore magico, è come entrare nella leggenda. Osservando le persone che vi partecipano mi sono resa conto che è un’impresa alla portata di tutti; ognuno porta sulle spalle il proprio “fardello” e portare a termine la gara, indipendentemente dal tempo impiegato (max 20 ore), è una forma di “riscatto rispetto alle avversità della vita”.
Chiudo questa storia di sport con una gara molto particolare, che lascia il segno. Parlo de “La 6 giorni del Pantano” (vicino a Potenza, in Basilicata). Dura 6 giorni di fila e vince chi fa più Km. Io e mio fratello Gian Luca ne abbiamo percorsi 506 e ci sono bastati (pare incredibile come si possa resistere dormendo solo un paio d’ore a notte per più giorni).
Ripercorrere 50 anni di vita sportiva aiuta a riflettere. La mia personale attività sportiva si è intrecciata in un legame indissolubile con ciò che mi succedeva intorno e al quale non sono rimasta estranea. Penso ad esempio al “Boschetto”, il nostro naturale campo di allenamento, fruibile in tutte le stagioni, e al “G. S. Atletica Nichelino”.
Quante energie spese per renderlo più vivibile, quanto impegno di tanti per organizzare il “Campionato Italiano Amatori e Master di Corsa Campestre” con più di 1.000 partecipanti provenienti da tutta Italia. Un successo per tutta Nichelino (marzo 1992, io mi ero classificata prima della mia categoria AW40, cioè donne con età compresa tra i 40 e i 45 anni). Per non dire della “Corsa della Solidarietà” riservata a tutte le scuole di Nichelino (ogni anno per 20 anni).
Ero partita pensando a “50 anni di sport e di vita” e devo concludere che forse è il contrario; sono stati prima di tutto 50 anni di vita in cui lo sport ha giocato un ruolo importante. Certo, rimangono i risultati individuali che mi appartengono, ma ancor di più rimane saldo il rapporto di amicizia con le persone che ho incrociato in questo lungo percorso. Questo non ha prezzo!
Il presente? Vado in bicicletta. E per il futuro? L’idea l’ho maturata da tempo ed è ormai interiorizzata: “Il Cammino di Santiago di Compostela” (quello da 800 Km ovviamente).
Maria Bellato
(Pia per gli amici, 68 anni, pensionata)