La ricordo robusta donna di casa, campagnola, torceva il collo alle galline con mossa rapida e sicura.
Ora sta per spegnere le cento candeline, ma, da ormai quasi vent' anni, si è spento anche il cervello. Ha iniziato con le dimenticanze e con un’incontenibile irrequietezza, col non sapere quale fosse la stanza dei servizi igienici; le badanti non resistevano e la incattivivano, una malsopportazione che un giorno l'ha spinta a tentare di buttarsi dalla finestra: un crescendo angoscioso di comportamenti autodistruttivi.
Povera Vincenza, nella sua testa si è fatto largo il nulla che non lascia scampo.
Non è rimasto niente della donna che era.
“Dobbiamo accontentarci che non ha male” dicono i medici.
Ora è accudita in una struttura idonea, è tranquilla, ma con gli occhi assenti, non parla, non riconosce, non sa chi è...potrebbe sembrare ridotta allo stato vegetale, non fosse che le è rimasto il comportamento umano per eccellenza: l'affettività. Quando una persona si avvicina, butta baci, perché vuole essere baciata, allunga le mani per chiedere una carezza, ha bisogno di sentirsi gli altri vicini.
Ecco, forse, quando sono tolte tutte le sovrastrutture, e anche il dono più prezioso, l'intelligenza, è venuto meno, rimane il cuore. Il cuore che ci spinge come ultimo istinto a cercare l'affetto degli altri.
L’Alzheimer è una malattia degenerativa: “La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la limitata e comunque non risolutiva efficacia delle terapie disponibili, e le enormi risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive, organizzative ed economiche), che ricadono in gran parte sui familiari dei malati, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo”.
Per un’ora sei bambino, e vuoi tornare a casa dai tuoi fratelli e dai tuoi genitori. Una casa che non c’è più, dei genitori che hai perso, dei fratelli che hanno le loro vite. Ti chiedi perché tutti questi estranei che hai attorno (mogli, figli, nipoti) non ti lasciano andare dove vuoi. Diventi aggressivo.
Poi la mente si annebbia, e quando i contorni sono di nuovo chiari trovi un altro te stesso: riconosci le tue figlie, ma quando sono così invecchiate? Te le ricordavi più piccole. E come si chiamano? Lo sai come si chiamano, dai, devi solo sforzarti un po’… ma proprio quei nomi non ti vengono. Diventi triste.
Di nuovo tutto diventa bianco. Questa volta, le linee della realtà non sono nitide. Sai che sei in un posto sicuro, lo senti, è casa tua. Del resto non ti interessa. E allora cominci a canticchiare ritornelli che provengono dalla tua infanzia. Sei felice, perché non ricordi nemmeno di essere malato.
In questa nebbia, a volte fitta, altre volte più diradata, vivono tutti i malati di Alzheimer e con loro tutti i famigliari che li accudiscono: in un’altalena di emozioni e di fatica che spesso lascia soli ed esausti.
Gruppo Amici dei Malati
Madonna della Fiducia