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La recente decisione del Comune di Nichelino, volta a vietare la catenazione dei cani, rappresenta un passo avanti significativo nel riconoscimento dei diritti degli animali, o perlomeno di quelli dei cani.

Tuttavia, questa scrupolosa attenzione nei confronti dei nostri amici a quattro zampe contrasta con una triste realtà in un ambito diverso. Mentre ci dedichiamo al benessere degli animali, nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie si verifica assai spesso che persone con gravi disabilità o malattie mentali siano sottoposte a pratiche di contenzione illegittime.

La contenzione meccanica, che limita o impedisce i movimenti dei pazienti, è comune nelle strutture psichiatriche e, soprattutto, in quelle per anziani con gravi demenze. Il Comitato Nazionale di Bioetica ha più volte condannato l'uso della contenzione fuori da situazioni di necessità assoluta. 

Nel 2018 la Corte Suprema di Cassazione (sentenza n. 50497) ha chiarito che l'immobilizzazione continuativa non è un atto terapeutico e può configurarsi come sequestro di persona. La contenzione, altresì, non migliora le condizioni di salute e può anzi causare lesioni fisiche, anche gravi. Le norme che regolamentano la contenzione per scopi di cura cadono pertanto in un'area di illiceità, secondo l'articolo 13 della Costituzione (“La libertà personale è inviolabile”).

Con una lodevole iniziativa nel 2019, l'allora Difensore Civico regionale, Avv. Augusto Fierro, ha dato avvio a un'indagine nelle Case di cura e nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) del Piemonte, rivelando un impiego diffuso e inappropriato della contenzione.

Si è riscontrata un'assenza di percezione dell'illiceità, sia etica sia giuridica, nell'utilizzo della contenzione, dove sembra prevalere l'idea che l'assistenza e la sorveglianza possano essere legittimamente sostituite dall'impiego della contenzione meccanica. Questa pratica, soprattutto nei confronti di pazienti gravemente dementi, assume quasi caratteristiche punitive, al di là di ogni giustificazione legale. 

Sulle ragioni dell'applicazione della contenzione emergono il numero elevato di assistiti, nonché difficoltà, carenze e disfunzioni organizzative, con una spersonalizzazione del rapporto tra operatore e persona in cura. Insomma, insufficienti risorse destinate alla cura e all'assistenza dei pazienti non autosufficienti hanno una ricaduta in termini di minore accudimento e un'assistenza inferiore a quanto occorrerebbe. 

Tuttavia, riporta sempre l’Avv. Fierro, esistono alcuni sporadici esempi di riduzione dell'uso della contenzione, dimostrando che, con adeguati investimenti culturali, strutturali e organizzativi, è possibile privilegiare la cura e l'autonomia dei pazienti anziché la loro semplice custodia. 

È quindi necessario destinare maggiori investimenti alla cura e assistenza dei pazienti anziani malati o con disabilità non autosufficienti, per realizzare questi cambiamenti. 

Quando si dimostrerà pari interesse anche per la dignità della vita delle persone non autosufficienti, una condizione che prima o poi potrebbe riguardare anche noi e i nostri cari?

Giuseppe D'Angelo
UTIM Nichelino