14
Dom, Dic
97 New Articles

L'infinita crisi dell'automotive

Cronaca
Typography
  • Smaller Small Medium Big Bigger
  • Default Helvetica Segoe Georgia Times

Anche a Nichelino è allarme rosso sul fronte del lavoro. Le  vicissitudini della Delgrosso l'anno scorso avevano  portato alla chiusura della storica fabbrica di filtri per auto.

Ora continua lo stillicidio che sta travolgendo una alla volta le aziende del settore metalmeccanico, in particolare quelle dell’indotto del settore automotive. Questa volta è toccato alla Psa Pipes Srl di via Goito fermare le attività in seguito alla mancanza di commesse. L’azienda, che svolgeva l’attività di curvatura, imbutitura, stampaggio e profilatura dei metalli, ha annunciato ai sindacati la chiusura dello stabilimento, con il conseguente avvio della procedura di licenziamento per i 31 dipendenti. Una decisione dovuta alla cessazione degli ordini della società che faceva da committente unico: la T. Erre Europe di Brandizzo che ha deciso di internalizzare le produzioni.

Ormai non si contano più a Torino e provincia le aziende che soffrono la crisi dell’auto: i casi della Tyco e della Lear sono quelli che fanno più rumore; di fatto dalle boite alle unità produttive di medie dimensioni arriva un grido di dolore mai sentito prima. E i dati forniti dall’ associazione dei produttori di componentistica (Clepa) sono, a dir poco, preoccupanti. Si parla della perdita, in Europa, di ben 86.000 posti di lavoro negli ultimi 4 anni. Le cause sono quelle ormai arcinote, a partire dal calo della domanda delle auto e dall’ aumento dei costi di produzione.

L’auto elettrica non decolla e manca un piano politico-industriale che sappia dare impulso al settore. Certo i segnali sono a volte contraddittori: di fronte alle difficoltà dei colossi Volkswagen e Stellantis c’è Renault che ha confermato gli obiettivi per il 2024, grazie al successo dei nuovi modelli e all'espansione delle vendite ibride, con ricavi a 10,7 miliardi di euro (+1,8%) e una contrazione delle vendite inferiore rispetto al mercato. Rimanendo in Italia, anzi stringendo il campo sul Piemonte, il depauperamento del settore produttivo iniziato ormai 20 anni fa con la chiusura o il ridimensionamento delle grandi fabbriche dell’indotto (pensiamo a Berto Lamet, Itca, Stola, Pininfarina, Bertone …) e quello di Mirafiori sta presentando il conto finale: la transizione forzata verso l’elettrico ha colto impreparato buona parte del comparto.

Sul lato imprenditoriale in questi anni si è lavorato molto sul piano finanziario, poco sul lato produttivo e degli investimenti. Le aziende locali sono state spesso soppiantate dalla scelta di privilegiare quelle dei paesi LCC o Low Cost Countries che dir si voglia: insomma, si vanno a comprare i pezzi dove costano meno. Con il risultato di affossare il nostro tessuto produttivo nel nome dei ricavi e dei dividendi da distribuire agli azionisti a fine anno.

In questo scenario di profonda crisi produttiva si intrecciano e si sovrappongono molteplici criticità: una risposta della potenziale clientela delle auto elettriche di gran lunga inferiore alle aspettative, la concorrenza cinese, ma anche il crescente sospetto che l’operazione Stellantis fin dall’inizio avesse tra gli obiettivi l’indebolimento dei marchi FIAT/FCA a tutto vantaggio degli altri componenti del gruppo. L’ennesima richiesta di ulteriori incentivi pubblici è suonata come ricatto: o ci aiutate o licenziamo e ce ne andiamo. La politica dal canto suo, in modo abbastanza bipartisan, chiede conto degli innumerevoli incentivi concessi in precedenza, senza che i promessi piani di sviluppo al momento si siano concretamente avviati. In conclusione i rapporti con i vertici Stellantis si sono fatti molto tesi, cosicché i dipendenti di Stellantis e di tutto l’indotto si trovano tra incudine e martello.

N.C.