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Quaresima 2025, dalla dispersione alla speranza

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- di don Davide e don Alberto -
Nell’ultimo turno di esercizi spirituali ci siamo lasciati accompagnare dal libro di Tobia,

racconto dell’Antico Testamento che narra le vicende intrecciate di due famiglie ebree in Mesopotamia e Media durante la cosiddetta diaspora. Questa situazione di dispersione significa che il popolo di Israele non ha più alcuni dei riferimenti attorno a cui ha costruito una parte della propria identità: la Terra promessa, il tempio di Gerusalemme, la dinastia del re Davide. È un tempo in cui è necessario ridare una direzione al proprio cammino di fede e resistere alla doppia tentazione di abbandonare le proprie radici o di chiudersi nel passato. È un tempo molto complesso, perché si intuisce il rischio, dietro l’angolo, di confondere la caduta di alcuni riferimenti con la caduta di tutto, Dio compreso.

Di questo “dramma interiore” è protagonista Tobi, uomo maturo e padre di Tobia: nei primi capitoli del libro si descrive la sua attenzione a praticare opere di pietà nella città di Ninive, dove si è stabilito con la sua famiglia (in particolare l’elemosina e la cura a seppellire i defunti). Di Tobi si nota l’integrità morale e il sincero tentativo di continuare ad essere radicato nella storia del suo popolo in un contesto nuovo. Ma i suoi tentativi sembrano progressivamente portarlo all’isolamento, che trova il suo apice nella cecità che lo colpisce e che di fatto lo isola anche dagli affetti più cari. Attraverso la forma del racconto, l’autore del libro sembra dire che gli onesti sforzi di Tobi di comprendere e adattarsi alla diaspora sono falliti.

È qui che entra in scena il figlio, il giovane Tobia, che viene inviato dal padre a recarsi in una città della Media a recuperare un piccolo tesoro che Tobi aveva messo da parte qualche anno prima. Tobia verrà affiancato nel suo viaggio dall’angelo Raffaele (presentatosi sotto le finte spoglie del viandante Azaria). Quando Tobia parte per la missione che gli è stata affidata è piuttosto insicuro e non così convinto di poter raggiungere la meta. Ma nella prima difficoltà che deve affrontare (viene assalito da un pesce sul fiume Tigri), la parola di Raffaele gli fa scoprire un coraggio nuovo. Da quel momento non solo riesce a superare le proprie paure, ma diventa man mano interessato al futuro, di cui si sente sempre più protagonista. Da luogo delle incognite, il futuro diventa agli occhi di Tobia un tempo di opportunità, qualcosa da scoprire più che da averne paura, e soprattutto sente crescere in sé un senso di responsabilità che lo spingerà a chiedere la mano di Sara, figlia dell’altra famiglia protagonista del libro e anche lei vittima di sventure (aveva alle spalle sette matrimoni conclusi sempre tragicamente con la morte del marito nella prima notte di nozze, per opera del cattivo spirito Asmodeo).

Da quel momento sembra che la vicenda del libro cambi movimento, tutti iniziano a muoversi per festeggiare il matrimonio, si nota un percorso di “convergenza” che è esattamente il contrario della “dispersione”. Il finale del libro continua su questa inversione di movimenti e di ruoli: il figlio Tobia ritorna dal padre e lo saluta con l’espressione “Coraggio, padre!”. È lui adesso che si prende cura del genitore, riportando a casa, per così dire, una parola che il padre aveva perso da tempo: il futuro!

Negli ultimi capitoli del libro è affidata a Tobi, ormai guarito dalla sua cecità, la parola definitiva su tutta la vicenda: “Benedetto Dio, che vive in eterno […]; lodatelo, figli di Israele, perché è lui il nostro Signore, il nostro Dio; […] Egli vi radunerà dai popoli[...]. Gerusalemme sarà ricostruita”. Grazie alla parola di coraggio del figlio, Tobi può dare la chiave di lettura all’intera esperienza della diaspora, quasi a dire: abbiamo perso dei riferimenti importanti, ma abbiamo scoperto Dio! La caduta di certe “istituzioni” non era il crollo di tutto, ma l’occasione per riconoscere che Dio è l’unico su cui fondare ogni attesa.

È affascinante leggere il dialogo tra generazioni che si sviluppa in questo libretto biblico: c’è un iniziale passaggio di consegne tra padre e figlio, tra un anziano e un giovane, si potrebbe dire; c’è il percorso di maturazione di un giovane che diventa responsabile; c’è un ritorno del figlio che riconsegna al padre una parola incoraggiante; c’è un finale in cui è affidata all’anziano la parola più “trasgressiva” che un ebreo della diaspora potesse immaginare: “Gerusalemme!”. Una parola quasi impronunciabile, perché richiamava solo il dolore e la nostalgia del passato; ma grazie a questo incrocio generazionale, diventa segno di una parola coraggiosa, decisamente sbilanciata verso un futuro da costruire e in cui credere. È la speranza che irrompe nella storia!

Chiediamo al Signore che la sua Parola possa illuminare il nostro percorso quaresimale, magari sognando che le nostre comunità diventino sempre di più dei luoghi dove le generazioni si scambiano parole di speranza, capaci di aiutarci a vicenda a leggere il mondo che viviamo, dove i giovani possano dare coraggio agli anziani, e gli anziani a partire da quel coraggio ritrovato possano offrire una visione ai giovani. Il tempo che viviamo, le notizie che ci raggiungono, le preoccupazioni per la situazione internazionale (e la situazione di salute di Papa Francesco, nel momento in cui scriviamo) ci fanno in qualche modo sentire la mancanza di qualche punto di riferimento stabile. Che la Quaresima possa radicarci ancora di più nella fede nel Dio unico che ci raduna; che possiamo scoprire che solo insieme, come comunità, possiamo essere spazio della creatività di un Dio provvidente che non fa mancare la sua presenza in mezzo alle nostre storie, anche complesse. Buon cammino a tutti!