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Don Milani cent'anni dopo

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Lorenzo Milani nasceva a Firenze il 27 maggio 1923 da Albano Milani Comparetti e Alice Weiss.

Questo prete inquieto aveva voltato le spalle ai privilegi della sua ricca e colta famiglia borghese per fare scuola ai figli analfabeti di operai e contadini del Mugello. Obbediente alla Chiesa malgrado le ferite e le incomprensioni subite, discusso per la sua radicale fedeltà al Vangelo, strumentalizzato da destra e da sinistra, don Milani merita di essere liberato dalle molte etichette che gli sono state cucite addosso, per essere conosciuto meglio nella sua originale e feconda testimonianza di fede e di umanità.

A Barbiana insegnò ai ragazzi il rispetto per il prossimo e nacque il motto “I care”, “tu mi interessi” che è l’opposto del fascista “me ne frego” e del tristissimo “non mi servi…te ne puoi andare”. Furono anni straordinari quelli vissuti in attesa del concilio Vaticano II. In Toscana si incontrarono personalità di eccezionale levatura, come ben sintetizza l’arcivescovo di Firenze Card. Betori, “astri di pietà, della storia e della cultura della città: Elia Dalla Costa, vescovo compassionevole, difensore di uomini e donne di ogni fede di fronte ai regimi totalitari; don Giulio Facibeni, apostolo della carità; Giorgio La Pira, sindaco santo, profeta di giustizia e di pace; don Lorenzo Milani, voce di un cattolicesimo vivace e precorritore nel nome di una sofferta ma leale fedeltà alla Chiesa”.  

Fu una sorta di anticipazione della Chiesa “povera per i poveri “di Francesco. Tra loro c’era, appunto, Lorenzo Milani, rampollo di una famiglia dove si respirava la cultura fiorentina del tempo, la più elitaria. Nel 1943 entrò in seminario, la sua vocazione nacque grazie ad un incontro con Giorgio La Pira nell’ambito delle conferenze della San Vincenzo che si tenevano nella canonica di don Bensi. Dino Pieraccioni, che fu una figura importante nel mondo cattolico fiorentino, riteneva invece che la vera causa scatenante che portò alla conversione di Lorenzo Milani fu da attribuire a un fatto accaduto vicino a piazza Pitti. Mentre Lorenzo stava mangiando un panino, una donna del popolo vedendolo gli gridò: “Non si viene a mangiare il pane bianco dei ricchi nelle strade dei poveri! “.

Sembra che questo ammonimento fu da Lorenzo interpretato come un rimprovero mariano. Milani e La Pira ebbero come confessore don Raffaele Bensi, un sacerdote molto attivo nella pastorale giovanile. Don Lorenzo era un “provocatore nato” e diceva sempre quello che pensava, ma aggiungeva: “nessuno riuscirà a farmi disobbedire. Se il vescovo mi sospendesse, mi arrenderei immediatamente, rinunciando alle mie idee. Delle mie idee non mi importa nulla, perché io, nella Chiesa, cisto per i sacramenti, non per le mie idee”. 

Don Bensi così lo definiva: “Era un illuminato, un profeta, un testimone unico nel suo genere. È un gran bene che ci sia stato. Era un cristiano, ma anche un ebreo: un piede, a suo modo, nel Vecchio Testamento l’ha sempre tenuto. Di qui il suo rigore, le sue collere, la sua spaventosa intransigenza. Era un santo, non c’è dubbio. Anche se tante volte travestito da diavolo. Anche se ci vorrebbe del coraggio, un giorno, a canonizzarlo “.  

Il Papa Francesco qualche anno fa durante la sua visita a Barbiana questo coraggio lo ha manifestato rivolgendosi ai preti: “che anch’ io prenda esempio da questo bravo prete, trasparente e duro come un diamante, che continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa; prendete la fiaccola e portatela avanti. E tutti voi sacerdoti perché non c’è pensione nel sacerdozio! Avanti e con coraggio!” 

Marcello Aguzzi