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Amare costa, ma costruisce e vince

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- di don Fabrizio Ferrero -

Era una mattina quando quel papà venne a trovarmi.

Io ero prete da pochi anni e la vicinanza di età con suo figlio l’aveva incoraggiato a cercarmi. Il figlio era tossicodipendente. Il dramma stava nella storia senza sbocco: era entrato e uscito diverse volte da comunità di recupero non riuscendo mai finire un percorso. Era seriamente malato nella volontà. Puntualmente si faceva vivo a casa, per impietosire la madre, con tutto ciò che questo comportava.

Parlammo a lungo. Raccolsi confidenze, amarezze, delusioni. Ciò che mi stupì, però, fu venire a conoscenza dei tentativi con cui questo papà aveva cercato di aiutare suo figlio. Non aveva mai mollato. Anche se l’età aveva rallentato un poco il suo passo, non aveva tuttavia mai fiaccato il suo cuore. Gli voleva davvero bene. Non so se, al suo posto, avrei avuto tanto coraggio e soprattutto tanta pazienza. Aveva disceso con la moglie tutti i gradini dell’inferno per aiutare questo suo figlio: lo struggimento per non essere stato (forse) un bravo educatore; l’umiliazione nel doversi sottoporre a infinite sedute con psicologi; la solitudine sociale per il ritrarsi degli amici; la povertà economica sfiorata; a volte le botte. Meritava seguire questo ragazzo?

Ripensare alla storia di questo papà ha segnato per me un passo importante nella comprensione del mistero della Pasqua. Bello, infatti, l’annuncio della risurrezione… ma perché la croce? Perché Gesù ha voluto (dovuto?) affrontare il tradimento, i processi, le percosse, la derisione, l’umiliazione e infine la morte? Il motivo è tanto semplice quanto profondo: il male va smaltito e non lo si può fare senza coinvolgersi. Il male non si cancella con un tratto di penna. Non si disinnesca il potere distruttivo dell’ingiustizia soltanto non pensandoci. Non si guarisce un cuore restandogli lontano. L’amore fa dire dell’amato: è bello che tu ci sia. Ma per farlo anche quando questi è corrotto dal peccato, occorre essere disposti ad abbracciarlo, a caricarselo sulle spalle, a lasciare che il suo male si consumi in questa comunione. Fu doloroso per quel papà voler bene al figlio tossicodipendente. Fu doloroso per Gesù donare l’amore di Dio ad una umanità peccatrice.

All’ultima Cena, istituendo l’Eucaristia Gesù introdusse i discepoli in questo dinamismo di croce e risurrezione: mistero dell’amore di un Dio che porta il peso dei peccati soffrendoli, per perdonarli e vincerli.


Porgendo quel pane e quel vino come il suo corpo dato e il suo sangue versato, Gesù anticipò la passione come un’accettazione consapevole, una scelta di amore, dono di sé. L’aveva detto: “Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10,17-18). Il comando era amare fino alla fine. La trasformazione profonda dunque che Gesù operò fu quella di prendere l’atto del male assoluto – la morte – e farla diventare il ponte dell’amore assoluto, per una “nuova ed eterna alleanza” di Dio Padre con gli uomini. Ecco il corpo dato e il sangue versato.

Comandando poi ai discepoli: “Fate questo in memoria di me” Gesù mostrò però anche la forza dell’amore. Come presto essi compresero, infatti, il pane e il vino consacrati nell’Eucaristia sono transustanziati nel suo corpo risorto. Sia chiaro infatti: la risurrezione non è stata la banale prova dell’esistenza dell’Aldilà, ma la risposta alle pungenti tentazioni che hanno costellato la sua vita terrena: “Se sei il Figlio di Dio, fa vedere chi sei!”. Il Padre risuscitandolo lo ha mostrato: Gesù – il Figlio – è la via, la verità e la vita. L’amore che nulla può più ritrarre e la pienezza della Vita che nulla può più arrestare.

In queste settimane in cui molti ragazzi si accosteranno alla Prima Comunione, merita ricordare a noi adulti che il sacrificio di Gesù si rende nella S. Messa contemporaneo ad ogni uomo. Cristo vive. Se sapremo insegnare ai ragazzi a spezzare il pane dell’Eucaristia e della carità, che ne è sostanza, testimonieremo loro che amare costa, ma costruisce e vince.


don Fabrizio Ferrero
parroco a S. Edoardo Re