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Bibbia per tutti - Torre di Babele

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Dopo il diluvio la terra torna fertile, gli animali salvati dall’arca di Noè la ripopolano e così fanno anche i figli di Noè.

La storia si chiude con uno strano episodio che avrà pero nel futuro un effetto tragico, radice di culture aberranti e atti terribili.

Vediamo: “Noè piantò una vigna. Avendo bevuto il vino si ubriacò” (Gen. 9 20-21); nell’euforia della ciucca si denuda e se va in giro nudo per casa (…in stile ‘se sun ciùc purtème a cà’). Cam, suo figlio, va a chiamare gli altri due fratelli per vedere lo spettacolo facendosi beffe del vecchio padre rimbambito dal vino. Però “Sem e Iafet presero un mantello e camminando a ritroso (per non vedere) coprirono le nudità del padre” (Gen. 9,23).

Il rispetto verso il padre e la madre è un comandamento fondamentale per la Torah: “il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli” (Sir. 3,2); “chi spoglia suo padre e sua madre e dice ‘non è peccato’ è compagno di un malvivente” (Prov. 28,24).  Noè, tornato in sé e conosciuta la situazione, si arrabbia col figlio Cam e col nipote Canaan lanciando loro una maledizione: “schiavi degli schiavi saranno per i loro fratelli!” (Gen. 9,25). Questa frase ha fatto sì che dalla fine del medioevo i discendenti di Sem (i semiti) e di Iafet (gli ariani), cioè i mediorientali e gli europei, iniziassero a ritenere le loro razze superiori rispetto a quelle derivate da Cam, cioè gli arabi del Sud e soprattutto gli africani giustificando la schiavitù e la colonizzazione.

La tratta degli schiavi dall’Africa, praticata dalla maggior parte delle potenze europee poi nordamericane, nasce proprio da una lettura acritica e razzista di questo versetto. I drammi e le violenze che sono derivate da questa lettura, giustificata da teologi, predicatori e chiese fondamentaliste, sono state enormi. Il male è che ogni tanto tornano a galla, la schiavitù non è ancora stata debellata nel mondo (neanche in Italia… andate a vedere qualche campo di raccolta di frutta e verdura o la tratta delle prostitute).

ZIQQURAT

Dopo questo fatto i figli di Noè con le rispettive famiglie si separano e vanno a popolare la terra dividendosi il territorio e qui nasce un altro problema: “tutta la terra aveva una sola lingua e usava le stesse parole” (Gen. 11,1). Certo, sono tutti discendenti di Noè! Ma - si chiedono gli ebrei molti secoli dopo quando mettono per iscritto i testi che poi diventeranno la Bibbia - siamo stati schiavi in Egitto e lì parlavamo una lingua diversa; poi abbiamo conosciuto vari popoli in Palestina e Arabia e anche qui li li capisce? …E quelli che vivono più a nord sembra che parlino turco! E con i fenici c’è da diventar matti! Allora – si sono detti – deve essere successo qualcosa che ha diversificato il linguaggio degli uomini, rendendo ancora più difficoltoso il rapporto tra di loro.

Ecco allora che nasce il mito, il racconto che noi conosciamo come “Torre di Babele”. “Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura (in Mesopotamia) e si dissero l'un l'altro: facciamoci mattoni…costruiamoci una città con una torre che arrivi fino al cielo” (Gen. 11, 2-4). Il modello di riferimento del racconto è la “ziqqurat” (torre sacra) che era il tipico tempio piramidale che si trovava nelle città della Mesopotamia. In cima sorgeva il tempio dedicato alla o alle divinità della città (quella di Hammurabi re di Babilonia era alta quasi cento metri). Il nome della ziqqurat di Babilonia era “Enteme-nanki” che significa casa delle fondamenta del cielo e della terra. È la torre che gli uomini vogliono costruire sia per arrivare a Dio sia per diventare famosi. “Facciamoci un nome”, si legge in Genesi 11,4, per essere temuti e rispettati da tutti gli altri che dovranno inchinarsi alla nostra superpotenza.  Come Adamo ed Eva, come gli uomini prima del diluvio, anche loro peccano di orgoglio: è ancora una volta il peccato delle origini, il voler essere come Dio, ma anche dominare, avere potere da lassù su tutto il mondo, sogno di ogni tiranno. A questo punto ancora una volta Dio interviene: “questo è solo l'inizio delle loro imprese… nessuno potrà impedire tutto ciò che hanno meditato di fare … scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua così che non si comprendano più” (Gen. 11, 6-7). Si formarono le varie lingue del mondo e nello stesso tempo gli uomini si dispersero “sulla superficie della terra e cessarono di costruire la città. Per questo il suo nome fu Babele”. (Gen. 11, 8-9). In ebraico il verbo “balal” significa mescolare-confondere; da questa etimologia lo scrittore sacro vuole spiegare il nome della città che in futuro, con il re Nabuccodosor, distruggerà Gerusalemme e il tempio deportando molti ebrei proprio a Babele o Babilonia. In realtà il vero significato del nome è un altro: “bab” significa porta e “El” significa Dio… anche se per noi Babele è diventato sinonimo di caciara, rumore fastidioso e pasticcio.

Ancora una volta, come dice un salmo, “colui che troneggia in cielo si fa beffe di loro”. Il biblista Ravasi ci ricorda giustamente che “Dio vuole l’unità dell’umanità da lui creata nella diversità, ma non tollera l’uniformità nell’oppressione”. Nel Nuovo Testamento e negli Atti degli Apostoli è presentato il ribaltamento di questa situazione, quando tante persone di popoli e lingue diverse sentiranno12 poveri ignoranti raccontare le parole e le promesse di Gesù. Ne capiranno l’importanza tanto che “furono battezzate, erano circa tremila e si aggregarono alla comunità” (Atti 2, 41).

Buona Bibbia a tutti!

Enrico de Leon