- di don Fabrizio Ferrero -
In questi mesi di inizio mandato, il nuovo Vescovo Roberto
ha invitato le parrocchie della Diocesi a ripensare insieme la presenza sul territorio.
La sua convinzione è che l’epoca nella quale viviamo sia profondamente cambiata: quell’idea di cristianità propria di tempi passati, per cui appartenere alla società civile e appartenere alla Chiesa coincidevano, oggi non esiste più. Occorre prenderne atto e mettersi in ascolto dello Spirito, per riconoscere quei “germogli” di vita e di fede in cui il Signore – sempre all’opera – ci chiede di vivere la novità.
Di fronte al cammino proposto, una lettura poco attenta della situazione potrebbe indurre ad un certo sconforto. Come affrontare, in effetti, il cammino a cui ci invita quando si constata che dopo anni di predicazione abbiamo più amici atei che credenti? Se è finita un'epoca, è passata perché era una moda? Ci siamo illusi parlando di cristianesimo in questi anni? Ci siamo sbagliati con tutti questi sacramenti, campi estivi e catechesi, funerali in chiesa e croci sulle tombe che da secoli richiamano il Cielo? Non sarà che dovremmo arrenderci e fare come tutti: amare le cose che, uniche, cadono sotto i nostri sensi, la materia e la terra? In modo più inquietante: non sarà che in fondo Dio sia così debole da sembrare che non ci sia… a dispetto di tanti miracoli narrati nel Vangelo?
In risposta a queste vibranti domande, c’è una pagina dell’Antico Testamento che brilla per insegnamento e attualità. In 1Sam 5 si narra che durante una delle battaglie più difficili contro i Filistei, il popolo di Israele fece portare in mezzo alle schiere dei soldati l’Arca dell’Alleanza, la cassa sacra che conteneva i Dieci Comandamenti. Era considerata la presenza visibile di Dio in mezzo ai suoi. Si pensava che tale gesto avrebbe guadagnato la vittoria. Fu un’amara delusione. Il popolo non solo venne duramente sconfitto, ma la stessa Arca, presa come bottino, venne portata nel tempio dei Filistei intitolato al dio Dagon. Successe però qui un fatto curioso. Per due notti consecutive, nonostante tutti gli accorgimenti, la statua di Dagon venne ritrovata a terra, con testa e mani rotte. E proprio ai piedi dell’Arca.
L'evento permise al popolo di imparare due lezioni. La prima è che non si può brandire Dio come un amuleto e dire: "È con noi!" dopo avere pianificato progetti da soli. La seconda: anche in mezzo a nemici, Dio non cessa di essere Dio. Anche nel buio della notte Egli continua ad agire e ogni idolo cade di fronte a Lui: perché Egli è il Signore e il creatore.
Che cosa rende attuale la vicenda? Nel segreto delle coscienze, Dio continua ad agire, in tutti, confrontandosi con le convinzioni più profonde del cuore. Perché come ci insegnano ventisei secoli di storia della filosofia, la questione di Dio non è la scelta da supermercato dell’idolo che fa più sconti per ottenere felicità. La questione di Dio non è quella di un pantheon romano in cui lo Stato accoglie tutte le idee religiose purché si sappia che la politica è superiore. La questione di Dio è molto più profonda, perché Dio è l’Assoluto bene; ha a che fare con l’essere e i valori che stanno a fondamento di ogni vivere e di ogni esistere.
Sotto questo profilo, anche le convinzioni apparentemente più dure davanti a Lui non sono incrollabili. Nemmeno l’ateismo, che sembra far così presa nella mente dei più giovani oggi, riesce a reggere senza scosse. Quando non è un facile alibi per condotte immorali, il suo pensiero, infatti, spalanca porte inquietanti proprio quando parla del male: più che la prova suprema del fatto che Dio non esista sembra invece non prenderlo sul serio. Se Dio non c’è, infatti, allora questo nostro è il migliore dei mondi possibili? Davvero non abbiamo bisogno di salvezza? Ci dobbiamo rassegnare al fatto che non esista un tesoro di bene a cui poter attingere per migliorare la storia e la vita? Se non esiste Dio, il grido dei poveri e degli oppressi resterà per sempre senza ascolto? Il male resterà impunito? In modo ancor più radicale: donde viene la differenza tra bene e male se Dio non esiste? Perché sforzarsi di essere buoni se tutto è senza mèta e senza scopo? E come si spiegano, se Dio non esiste, l’impegno, i sacrifici e la generosità che ci hanno donato i nostri cari defunti?
È difficile rimanere insensibili di fronte alle storie, agli esempi e all’amore che ci hanno lasciato i nostri cari. Soprattutto quelli santi, che con fede hanno fatto trasparire nella loro esistenza la grazia di Dio. Come non sentire qui a Nichelino, nel segreto delle coscienze, la voce di coloro i cui nomi sono scritti in Valle Stretta alla Croce dei Ragazzi in Cielo? Animatori di campi estivi, padri e madri di famiglia, sacerdoti e religiose che con la loro fede ci hanno donato quel Gesù che è stato la roccia della loro vita, e la cui croce campeggia in tutte le loro tombe come segno luminoso. Ne seguono lo stesso destino di Paradiso.
In questa nuova stagione di post-cristianità possiamo attingere proprio da loro molte parole da offrire agli amici non credenti. E molte speranze affinché non prenda il sopravvento l’angoscia nei cuori dei più fragili. Essi ci hanno mostrato che Dio c'è e ci vuole bene! In Gesù Cristo suo Figlio, morto e risorto, Signore del mondo e della storia, Egli ci ha donato la parola di un amore più forte della morte, e che opera ogni giustizia. In Lui e in loro la nostra speranza riposa su solide basi.
Possiamo dunque guardare con fiducia al cammino che ci propone il Vescovo Roberto: se ci sforzeremo di raccogliere e far maturare la loro eredità, i “germogli” fioriranno.
d. Fabrizio Ferrero