- di don Fabrizio Ferrero -
La festa di Pasqua ci riempie di speranza. Non si tratta di fuggire dalla realtà in cerca di pie illusioni, ma di far entrare una luce del Cielo nella nostra storia tribolata: mettere la nostra vita sotto lo sguardo dell’amore di Dio.
Ne abbiamo un infinito bisogno. Servono prove? È stata fatta scoppiare una guerra in Ucraina. Ma è stata organizzata anche una rissa di oltre cento ragazzi a Nichelino, solo un paio di mesi fa. Popoli imparentati dell’Est sono diventati crudelmente nemici. Ma anche da noi continuano i femminicidi, le violenze domestiche, gli alterchi per strada o nelle riunioni di condominio. C’è davvero così tanta differenza? Da giovane e povero usi i bastoni; da adulto e ricco, i missili. Non è forse solo una questione di mezzi e proporzioni?
Abbiamo bisogno di essere visitati dal Cielo perché il cuore è malato. Non sa reggere il bene, né distinguerlo dal male. Abbiamo un cuore che fa il leone per aggredire, rivendicare e squalificare gli altri. Ma, a dispetto di una giustizia tanto invocata, non ha il coraggio di rispettare le regole quando non è controllato: le infinite lamentele, le battute e le pressioni sulle autorità per eludere i protocolli sanitari durante la pandemia ce lo hanno impietosamente mostrato.
Di fronte a questo stato di cose, brillano per attualità due conturbanti scene del Vangelo: le tentazioni di Gesù nel deserto e la sua trasfigurazione sul monte Thabor. Medico delle anime e non solo dei corpi, Gesù ha percorso il nostro cammino umano affrontando, come noi, le insidie del cuore. Lo ha fatto non solo per mostrarci la via d’uscita, ma anche per preparaci ad accogliere la sua stessa forza, ora donata nei sacramenti.
Le tentazioni avvennero nel deserto: il giardino di Dio, secondo un proverbio orientale. Ma anche luogo della prova, perché non ci sono difese e l’anima è nuda. Soddisfare solo bisogni materiali; usare il potere del male per portare avanti piani di bene; dire a Dio ciò che deve fare, stabilendo da se stessi ciò che è bene e ciò che è male: le tentazioni furono (e sono) tanto più forti quanto più sottili. Che male c’è a riempire pance? Non è forse questo ciò che hanno sempre chiesto i popoli? E poi, perché non usare un po’ di forza per operare il bene? Quanto bene si potrebbe fare esportando democrazia e benessere con le armi? Soprattutto, perché non forzare un po’ la mano a Dio, così lento e assenteista in un mondo che ha bisogno di miracoli eclatanti per crederlo e seguirlo? Gesù ha risposto rifiutando le lusinghe del Demonio. E citando la Scrittura, ha ricordato che: non di solo pane vive l’uomo; solo Dio si deve adorare; non si deve tentare Dio. È difficile non accorgersi dell’attualità delle sue risposte. Lasciano di stucco, in effetti, tanti suicidi di giovani, che pur con la pancia piena hanno tragicamente messo fine alla propria esistenza, scappando dalla vita o inseguendo perverse macchinazioni. Fa poi riflettere che Dio, che è il bene, debba essere seguito mediante il male. Il fine che giustifica i mezzi, infatti, non d
rime un dubbio: riuscirai a fermarti prima di diventare cattivo come il tuo nemico? E da ultimo, atteggiarsi a Dio, ambizione di malcelata superbia, fin dove può condurre? Che cosa faremmo davvero noi se ce ne fosse dato il potere, anche solo per un giorno? Saremmo solo e soltanto amore?
Pur rispondendo negativamente, Gesù però non è passato sopra quelle tentazioni. Istituendo la S. Messa, lui stesso si è fatto pane di vita, donando nutrimento al corpo e allo spirito (come ha invitato a fare insegnando il Padre Nostro). Con la lavanda dei piedi ha mostrato che il vero potere è il servizio (in effetti, anche umanamente è difficile rifiutare di seguire chi ti vuole bene). E il salto nel buio lo ha compiuto, ma al momento della morte, affidando il proprio spirito al Padre. Ed è stato risuscitato.
Donde ha tratto Gesù la sua forza? In parallelo con la scena del deserto, la trasfigurazione (cambiamento d’aspetto) sul monte Thabor diede ai discepoli il privilegio di vedere l’onnipotenza del cuore di Gesù: cuore pieno di amore, capace di vincere le tentazioni e di donare la vita piena e vera. I discepoli videro misticamente lo splendore della sua bontà, che non seppero descrivere se non mediante paragoni e allusioni alla luce. Fecero la nostra stessa esperienza ogni volta che incontrando gente buona ci scappa di dire: che bella persona! L’aspetto, poco avvenente magari, irraggia una bellezza interiore che non passa inosservata, e si trasfonde nelle azioni. Così preparati, essi non rimasero senza appigli nella memoria per guardare alla fine terrena di Gesù. Davanti alla croce, dietro e oltre lo spettacolo raccapricciante del male che l’uomo può dare ad un altro uomo (e a Dio), videro la forza di un amore capace di neutralizzare il potere distruttivo della cattiveria. Videro l’amore di Dio capace di volerci bene da morire, letteralmente. Videro specchiato nel cuore di Gesù il cuore stesso Dio, la cui bontà ha l’ultima parola: la risurrezione.
Nella celebrazione della S. Messa che ci rende presenti ogni giorno alla sua Pasqua, Gesù ci dona il suo cuore: ecco la grande speranza! Mediante la comunione, sacramentale o spirituale, egli ci comunica il dinamismo del suo amore. Ci dona la forza che permette di interiorizzare i valori e non farli restare precarie convenzioni. Ci dona, al termine di ogni celebrazione, la forza di rituffarci nel mondo che abbiamo portato nella preghiera davanti ai suoi occhi, carichi di una forza più potente della morte. È una speranza che non delude. Dobbiamo certo mettere in conto un lungo vacillare: il cammino nel bene è irto di ostacoli, prima di tutto interiori. Ma la gioia che dona il fissare lo sguardo sul Signore, che è via verità e vita, ci farà giungere alla mèta stringendo più forte la sua mano.
don Fabrizio Ferrero
Parrocchia S. Edoardo Re