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Dom, Dic
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Ciascuno di noi può diffondere semi di speranza

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- di don Gianfranco Sivera -
“Buona strada. Mi raccomando: giudizio papà!”:
sono queste le parole con le quali i figli

di David Sassuoli, presidente del Parlamento Europeo, lo hanno salutato al termine delle esequie. Sono le parole, a lui tanto care, con le quali si rivolgeva spesso ai suoi figli, ma anche a tutti coloro che hanno avuto l’onore e la grazia di incontrarlo e di condividere con lui la passione per il bene comune e la ferma volontà di costruire e seminare la pace.

È questo l’augurio che ci viene da un “uomo mite, gentile, per bene, animato da alti e preziosi principi” come in tanti hanno testimoniato. Un augurio che mi sento di condividere con tutti voi fin dall’inizio di questo nuovo anno ancora purtroppo violentato dalla tragedia della pandemia. Assistiamo alla fatica di tutti: dei ragazzi che a volte si scatenano in atteggiamenti anche violenti; dei genitori impreparati a gestirli; dei più fragili, talora ancora in attesa di un vaccino e soprattutto avvolti di un maggior senso di solitudine. I centri Caritas e le mense dei poveri registrano un grave incremento della povertà e ancora non si vedono gli effetti della ripresa.

Uno degli effetti di questa pandemia è l’accrescimento di un disagio psichico su tutte le età, compresi i bimbi. Anche le nostre comunità si trovano un po’ impacciate in questa situazione.

Papa Francesco ci ha però rivolto una parola che illumina e orienta le nostre scelte: «Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite».

Ricominciare è stile della vita cristiana, come suggeriva già secoli fa Antonio il Grande, patriarca e padre di tutti i monaci che diceva in modo lapidario: «Ogni mattina mi dico: oggi comincio». È un chiaro invito ad attuare quel principio che usiamo chiamare “sussidiarietà”. Questo fa rima con “corresponsabilità” e nel concreto chiede d’immaginare cosa noi possiamo fare per non vivere passivamente i fatti, ma essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite.

La lamentela diventa sterile se non è accompagnata da un serio impegno concreto che parta da un’intelligente lettura della realtà. Questo vuol dire, prima di tutto, riconoscere il valore di una comunità di persone che non si chiude in sé stessa. Includere è l’opposto di escludere e in ogni caso è vincere la tentazione dell’indifferenza. Integrare è verbo che non sempre piace; qualcuno lo legge come sinonimo di “omologare”. Io invece, credo che il valore dell’integrare consiste nel fare spazio agli altri. Se si guarda all’etimologia del termine si scopre che deriva dal latino “integer”, intero, e significa “aggiungere qualcosa/qualcuno in modo da rendere intero”. Integrare, letto in questo modo, ci dice che se manca qualcuno la comunità è monca, non è completa. C’è bisogno di tutti, senza dimenticare i molti che vanno risollevati perché sono caduti.

Ogni amministratore, ma anche ogni comunità dovrebbe domandarsi: chi sono i più fragili?

Anche nelle vaccinazioni in teoria si è partiti dai più fragili, da quelli che se contagiati rischiavano di non farcela. Subito però è scattata in parallelo la logica della priorità per alcune categorie importanti per la produzione. Nella “bagarre” dei vaccini, a livello nazionale e internazionale, emerge come l’interesse dei poteri forti prevalga sovente sulla ricerca del bene comune. Chi ha i soldi si vaccina e chi è povero si vedrà, come per esempio sta avvenendo in Africa.

La Chiesa, nella sua opzione preferenziale per i poveri, propende per una scelta nella direzione di chi ha meno forze e va quindi risollevato. È questo il giudizio che deve orientarci ed è anche la nostra speranza, senza mai dimenticare che come ci ha detto poco prima di lasciarci il caro presidente David Sassuoli: “La speranza siamo noi, quando non chiudiamo gli occhi di fronte a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie”.

Don Gian Franco Sivera

Parroco
Madonna della Fiducia e San Damiano