Adolphe Rettè, scrittore francese, nel 1907 così scriveva nel suo libro autobiografico “Du diable à Dieu” (Dal diavolo a Dio):
“Allevato senza fede, cresciuto in una famiglia divisa, appena raggiunsi l’età divenni un ateo convinto, un materialista militante. Mi unii ai nemici della religione e presi parte a tutte le loro azioni abominevoli. Dopo i 18 anni iniziò un periodo di dissolutezze e di follie, di cui oggi inorridisco e che rinnego con tutto il mio cuore”.
Nel libro racconta con dovizia di particolari di aver percorso la Francia con foga e passione con un unico scopo: seminare odio verso la fede cattolica e vomitare insulti contro Gesù il Cristo che in termini dispregiativi apostrofava “il galileo”, come Giuliano l’apostata.
Adolphe Rettè usava l’arte oratoria con grande maestria ed arguzia. Un giorno a Fontainebleau annunciò, come al solito, l’arrivo di un’era di felicità all’insegna della libertà, fratellanza, ed uguaglianza, grazie alla scienza e alla liberazione dalle antiche superstizioni. Terminata la conferenza tra gli applausi si avvicinò un giardiniere che così lo apostrofò: “Vedete cittadino, noi sappiamo bene che Dio non esiste. Ciò va da sé, però, dal momento che il mondo nessuno l’ha creato vorremmo sapere come tutto ha avuto inizio. Di ciò la scienza deve essere informata e voi ci spiegherete quanto essa sa a tale riguardo”.
La sua risposta fu: “la scienza non può spiegare come il mondo ebbe inizio”. Ed in lui si insinuò il tarlo del dubbio. Continuando nella sua vita dissoluta, riusciva a calmare la crescente tensione facendo lunghe camminate nei boschi ed un pomeriggio - siamo ai primi giorni di giugno del 1905, aveva con sé la Divina Commedia. Aprì il libro nel punto in cui Dante tratteggia il purgatorio con tanta fede e speranza cristiana… In Rettè si faceva strada una domanda: “non potrebbe darsi che la religione cattolica, da me tanto derisa, abbia ragione quando afferma che un peccatore che si pente ed accetta con gioia la penitenza delle proprie colpe, diventa perciò stesso degno di salire al cielo?”
Tante volte aveva affermato che il Cristianesimo è una storiella per gonzi! Ma ora un interrogativo non gli dava tregua: “E se Dio invece esistesse?”. Si trasferì ad Arbonne. Un giorno visitò il piccolo santuario di Cornebiche e piangendo senza ritegno implorò: “Cosa debbo fare madre di Gesù, che non ho mai invocato, ditemelo vi prego!!” Tornato a Parigi, incontrò il poeta Francesco Coppè che lo accompagnò da un sacerdote pio e dotto. Qui si scatenò la tenace lotta tra il peccatore che non voleva morire ed il credente che non riusciva a nascere. Nell’autobiografia di Adolphe Rettè sono pagine di rara intensità emotiva e di profonda spiritualità. A un certo punto il sacerdote lo invitò a far il segno della croce: “Padre, non l’ho mai fatto”, confidò lui a capo chino. Il sacerdote glielo insegnò, poi lo invitò ad andare a casa e riposare:“Ci vediamo domani alla stessa ora”. Rettè andò, libero come una libellula.
Ricevuta la prima comunione scrisse: “perché non si può arrestare il tempo in quest’ora solenne di calma ed innocenza? Durante la giornata che seguì dopo la santa comunione, vissi in una specie di sogno luminoso. Tutti i miei pensieri si rivolgevano al Signore, mi pareva che ogni cosa avesse assunto un aspetto festoso, alla lettera vedevo l’universo con occhi nuovi”.
Marcello Aguzzi