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Recriminare non serve, piuttosto diamoci da fare

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Da anni si ripete che così non si può andare avanti; che bisogna cambiare il modello di Chiesa nel quale siamo vissuti finora qui in occidente;

che non si può più dire “si è fatto sempre così…”;  che i bimbi vanno via dopo la cresima (qualche anno fa) e ora dopo la prima comunione; che in diocesi vicine già non si battezza più, idem per i matrimoni; che le nostre chiese si svuotano a vista d’occhio; che non ci sono vocazioni, che si fanno riunioni sempre con le stesse persone.

Parole…come sinodalità, ministerialità, missionarietà. Di solito si dice, parlando della carenza di vocazioni, che il Signore continua a chiamare, ma che i giovani non ascoltano più. Mi sono invece convinto che  il Signore non chiami più perché di preti e vescovi ne abbiamo fin troppi. Guardiamo il Papa: nel suo continente, l’America Latina, le parrocchie hanno la dimensione di una nostra diocesi, e magari sono guidate da un solo parroco; eppure laggiù la Chiesa è infinitamente più viva. Chi la porta avanti, senza vescovi e preti? I laici! Ecco la ministerialità, la missionarietà, la sinodalità vissute in pratica e non a parole.

L’azione del nostro vescovo, con la profonda rivisitazione dell’attuale gestione delle parrocchie,  traccia il cammino. In questo prossimo futuro saranno preziosi quei laici che magari in modo nascosto, ma efficace, diventeranno tessitori e artefici di comunione chiamati a camminare sempre più insieme, rafforzando le esperienze che già esistono e facendone nascere di nuove.

È un impegno grande che ci viene richiesto: avviare un percorso che ci porti a costruire sentieri nuovi di fraternità, come  sottolinea l’Arcivescovo Roberto Repole nella sua recente lettera pastorale. Cosa c’è di più bello di sentirsi investiti di una missione tanto significativa anche per la gente che guarda alla Chiesa con speranza? La Provvidenza ci sollecita a metterci in cammino per   incontrare le persone nei contesti concreti, dove si svolgono le vite e dove nascono le domande di senso e di conforto. Oggi è ancora possibile dire agli uomini disorientati, e a volte assetati di Dio, che la comunità cristiana è fatta, prima di tutto, di persone che si vogliono bene, perché amate di amore eterno dal Padre.

Abbiamo provato cosa significhi non poter varcare un confine comunale a causa del covid e purtroppo si continua a dire: “la mia diocesi, la mia chiesa, la mia parrocchia, il mio parroco, la mia messa...” Il vescovo Roberto ha suonato la sveglia! Coraggio, seguiamolo! 

Marcello Aguzzi