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Dom, Dic
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La curiosa storia di un pezzo di legno

Pillole di storia
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Vale la pena menzionare, a futura memoria, il racconto di un misterioso ritrovamento archeologico in quel di Nichelino.

Pur trattandosi di una testimonianza "de auditu", cioè non diretta, ma riferita da altri, essa presenta un buon grado di attendibilità. L'episodio risale ad ormai una quarantina di anni fa (n.d.r negli anni ’60 del secolo scorso) quando in una zona di Nichelino, che era allora in aperta campagna, si stavano eseguendo gli scavi per le fondamenta dello stabilimento Viberti (nella foto). Da una pozza, realizzata per l'occasione, si stava estraendo della ghiaia. Nel corso delle operazioni a un certo punto la benna della gru portò alla luce un "palo di legno scuro" che subito venne scambiato per un vecchio tronco, lì sotterrato da chissà quanto tempo.
Cosa c'era di strano in quel pezzo di legno?
Lasciamolo spiegare a chi ha tramandato sin qui la notizia: Mario Cerrato, ex operaio Viberti ora in pensione ed anche appassionato archeologo. Cerrato cita l'episodio, a mò di curiosità, al termine di una sua interessante e ben documentata dispensa, che tratta del processo di romanizzazione in Piemonte, scritta per un corso di antiche civiltà tenuto all'Unitre.
Annota l'archeologo nichelinese: "Quel tronco, mi disse l'allora responsabile dei lavori, venne deposto sull'argine di quello che ormai era un laghetto e catturò l'attenzione dei presenti non fosse altro che per una sua sorprendente singolarità: un'estremità di questo 'palo' inequivocabilmente riproduceva le fattezze di un volto umano. Gli impellenti lavori costrinsero a rimandare una più attenta considerazione dell'oggetto il quale rimase adagiato fuori acqua e, purtroppo, in zona molto assolata. Si riprometteva, il responsabile, di meglio osservarlo e magari fotografarlo in seguito. Però il mattino dopo I 'insolito oggetto si presentò agli occhi dei curiosi osservatori quasi completamente spogliato in scaglie bianche ed inconsistenti, cineree, come consumato da combustione. Esposto alI'aria aveva un subito un rapido processo di ossidazione. Le fattezze del volto umano erano irrimediabilmente perdute. Fu a questo punto considerato inutile fotografare i resti".
La scena però rimase ben impressa nella memoria del capocantiere e la notizia del singolare ritrovamento si sparse tra i primi dipendenti della Viberti. Uno di loro, qualche anno più tardi, riuscì ad organizzare l'incontro tra il "testimone oculare" ed il collega con il pallino dell'archeologia.
"Mi descrisse con sicurezza e molto minuziosamente il misterioso oggetto — ricorda Mario Cenato — rammaricandosi di non riuscire a dare una spiegazione sia delle caratteristiche del manufatto, che non poteva essere uno scherzo della natura, e sia della collocazione, a 2-3 metri di profondità, o forse più, rispetto al piano di campagna, in un contesto ben stratificato di ghiaia".
Il tecnico mostrò uno schizzo e Cerrato una sua ipotesi la formulò: poteva trattarsi di un antichissimo palo sepolcrale, forse di origine celtica. Le successive ricerche iconografiche rafforzarono questa ipotesi: la descrizione del misterioso tronco, pescato dalla gru in zona Viberti, presentava sorprendenti analogie con pali sepolcrali antropomorfi di remote tribù celtiche, conservati in alcuni musei europei di antichità.
Resta l'interrogativo del perché quell'oggetto, riaffiorato da un lontanissimo passato e purtroppo subito inceneritosi, si trovasse li.
Come c'era finito? Forse, data la natura del terreno, vi fu trasportato da una delle tante alluvioni, succedutesi nei secoli.
E se invece il palo in origine fosse stato piantato proprio lì? Lasciateci almeno immaginare che lo scultore celtico ed il guerriero del totem, entrambi ignoti, non abitassero troppo lontano da Nichelino che ovviamente ancora non esisteva
M.Co.

Dal giornale Nichelino Comunità (pubblicato il 30.6.2009)