Parliamo questa volta della riforma della disabilità, la “riformona”, come l’hanno definita alcuni.
Ha preso avvio con la Legge delega n. 227/2021 e si articola, ad oggi, in tre decreti attuativi emanati in rapida successione, al fine - lo sottolineiamo - di accedere ai finanziamenti del PNRR.
Il primo decreto attuativo ha riguardato l’accessibilità nei luoghi (fisici e digitali) della pubblica amministrazione; il secondo ha istituito l’Autorità Garante Nazionale per i diritti delle persone con disabilità; il terzo, il più corposo, ha interessato diversi ambiti quali la definizione della condizione di disabilità, la valutazione di base, quella multidimensionale, nonché il cosiddetto “Progetto di vita”.
Va evidenziato che i nuovi criteri di valutazione della disabilità sono stati introdotti in fase sperimentale in alcune città campione e, viste le difficoltà riscontrate, entreranno a regime non prima del 2027.
A nostro avviso, la riforma presenta elementi di criticità che impongono attenzione nella sua attuazione, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti delle persone con disabilità intellettiva/autismo grave, soggetti spesso privi di capacità di autodifesa.
Primo punto. Diciamo subito che la riforma è stata concepita senza prevedere risorse aggiuntive rispetto a quelle già disponibili a legislazione vigente. Si intende, quindi, realizzare una trasformazione strutturale “facendo le nozze con i fichi secchi”.
Secondo. L’impianto ideologico della riforma si ispira alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (legge 18/2009), adottando una prospettiva prevalentemente orientata alle disabilità fisico-motorie e sensoriali. Ciò risulta favorevole a chi è in grado di “autodeterminarsi”, a discapito delle persone con disabilità intellettiva grave.
Terzo. Viene introdotto il concetto di “accomodamento ragionevole”, ovvero quegli “aggiustamenti” necessari a garantire l’effettivo esercizio dei diritti. Tuttavia, in assenza di adeguate risorse, tale principio rischia di trasformarsi in un pretesto per un accomodamento “al ribasso”.
Quarto. Il previsto “Budget di progetto”, ossia l’insieme delle risorse che dovrebbero alimentare il “Progetto di vita” personalizzato e partecipato della persona con disabilità, è costituito non solo da fondi pubblici – già limitati – ma anche da risorse di privati, Terzo Settore, famiglie e dagli stessi beneficiari. Ne consegue il concreto rischio che la realizzazione del “Progetto di vita” venga subordinata alla capacità economica dei soggetti coinvolti, compromettendo l’universalità dei diritti.
L’intero impianto della riforma, fondato sui principi di autodeterminazione e vita indipendente – concetto che appare come un evidente ossimoro in riferimento alle persone non autosufficienti – rischia, pertanto, di lasciare indietro proprio i soggetti incapaci di autotutelarsi.
In conclusione, la riforma appare un “gigante dai piedi d’argilla”. Rischia di compromettere l’effettiva esigibilità dei diritti, a causa della carenza di risorse e dell’introduzione di strumenti ambigui (l’accomodamento ragionevole e il Budget di progetto), suscettibili di ridurre le tutele per le persone in condizione di maggiore debolezza. In tali casi, sarà determinante il ruolo del tutore/amministratore di sostegno, chiamato a difendere con fermezza i diritti della persona con disabilità. A proposito ricordiamo che i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) garantiscono ancora prestazioni sociosanitarie esigibili. Tra queste si annoverano le fondamentali prestazioni dei Centri diurni socio-terapeutici e delle strutture residenziali (es. Comunità alloggio para-familiari) per il “durante e dopo di noi”: è fondamentale rimanere saldamente ancorati a tali diritti, evitando che il loro godimento venga subordinato a criteri economici.
Giuseppe D'AngeloUTIM Nichelino