Con la legge 167, fin dal 1964, erano stati adottati a Nichelino due Piani di Zona, entrambi molto distanti dal centro abitato.
Il primo (167/1) venne realizzato rapidamente nella zona di via Cacciatori all’inizio degli anni ’70, appena ottenuti i finanziamenti, per dare una risposta immediata atante famiglie disfrattati.
Per il secondo Piano di Zona nel 1975 venne individuata una nuova area: era quella agricola attigua all’antico Castello di Nichelino, un unico grande appezzamento di terreno cuneiforme con il vertice in prossimità del centro città. L’edificazione di questa porzione di campagna, che si insinuava fino al cuore del concentrico, completerà la corona edificata attorno al centro cittadino.
Si trattava di una zona di pregio, in prossimità dell’antico borgo di Nichelino che nel 1694 aveva dato il nome all’intero Comune, con due bellissimi viali storici e un parcosu un’area di interesse storico-culturale vincolato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici.
Il nuovo piano, approvato dal Consiglio comunale il 29 aprile 1975 interessava un’area di 51 ettari, prevedeva alloggi per 6.400 abitanti, riservando una vasta area di 19 ettari attorno al Castello per la realizzazione delle attrezzature pubbliche, dei servizi e degli impianti sportivi in un’ampia fascia verde.
Nel 1983, le abitazioni del nuovo quartiere erano state in gran parte realizzate. La necessità di costruire rapidamente per far fronte all’emergenza abitativa,le molteplici varianti e i finanziamenti pubblici diversificati, avevano però stravolto la fisionomia originaria del piano di zona. Proprio per questo motivo era stata lasciatainedificata una grande area centrale per collocarvi i servizi. A questo punto l’architetto Carlo Novarino, coordinatore dell’Ufficio Studi e Progetti del Comune segnalò i rischi che si sarebbero corsi, se non si fosse realizzato un progetto - guida unitario.
La necessità di costruire i servizi di interesse ad uso pubblico venne così assunta dall’Amministrazione Comunale come occasione per procedere alla riqualificazione del quartiere e la Giunta nel 1983 decise a questo scopo di affidare un incarico al Politecnico di Torino nel quadro di una convenzione per la messa a punto di un progetto-guida. La convenzione si presentò come un’esperienza innovativa anche per il Politecnico sia per il tema – l’organizzazione urbana dei servizi in un nuovo quartiere residenziale – e sia per il tipo di collaborazione fra i ricercatori universitari e i tecnici del Comune, che divenne poi prassi normale nelle successive ricerche universitarie.
Come si legge nel libro ‘Ricerche per una architettura dei luoghi’, “La storia del Quartiere Castello di Nichelino è una storia per certi versi eccezionale, una storia che racconta la ricerca e la difesa appassionata di un valore raro, la qualità urbana: per questo è una storia unica nelle esperienze dell’area metropolitana torinese”.
I lavori di studio e di ricerca partirono con due gruppi di lavoro del Politecnico. Il primo era guidato dal professor Giovanni Salvestrini per la definizione e il dimensionamento dei servizi collettivi. Coordinatore del secondo gruppo che si occupava della struttura edilizia dei servizi era il professor Roberto Gabetti.
Verso la fine del 1984 i professori del Politecnico completarono la ricerca. Nel 1985 il progetto-guida venne approvato dal Comune e presentato alla popolazione (aprile 1985), con una mostra nella Scuola elementare Marco Polo e con un opuscolo distribuito alle famiglie poco prima delle elezioni (12 maggio 1985). “Il piano dei servizi fu tuttavia dimenticato dalla successiva amministrazione (settembre 1985/marzo 1987), finchè venne costituito nell’aprile 1986 un Comitato di Quartiere spontaneo degli abitanti, senza distinzioni di appartenenza politica, che decise di ‘recuperare e studiare a fondo il progetto del Politecnico e, riconosciutane la validità, di fare della difesa di tale progetto una bandiera’. Dopo anni di intense battaglie, le pressioni politiche del Comitato sull’Amministrazione comunale hanno fatto sì che questo progetto si aprisse alla verifica dei primi cantieri, con la speranza che possano nascere in altre periferie analoghe esperienze legate al difficile ma positivo esercizio della “democrazia diretta” da parte degli abitanti”. (in “Architettura degli anni ’80 in Piemonte”).
Furono anni di grande fermento: migliaia di volantini distribuiti settimanalmente in tutte le buche, periodiche assemblee di quartiere con centinaia di partecipanti, raccolte firme, massiccia presenza durante i consigli comunali, feste di quartiere, come quella epica dell’estate 1988. A un questionario di cento domande rispose il 77% degli abitanti per un totale di 4.144 persone. Ne scaturì anche un libro “Cento risposte per un quartiere”, pubblicazione citata in molti testi universitari. Inoltre uno studio elaborato dal “Comitato per i sevizi per il Quartiere Castello” consentì, primo caso in Italia, il passaggio dal diritto di superficie al diritto di proprietà.
Dopo la raccolta di 2363 firme del dicembre 1986, il Comitato si avvalse del diritto previsto dal regolamento per chiedere la convocazione di un Consiglio comunale aperto che sbloccò la situazione. La mobilitazione dei cittadini iniziò a dare i primi risultati: a settembre ’88 partirono i lavori del supermercato (progetto arch. S. Marchi) e della chiesa Madonna della Fiducia (progetto arch. S. Ferrero); seguirono negli anni successivi i lavori della scuola elementare-media (progetto arch. P. L. Brusasco e G. Torretta), del portico (progetto ing. V. Nascé) e della biblioteca-mediateca (progetto arch. C. Pession), una struttura di tipo nuovo e pressochè unica nell’area metropolitana, che fu una delle ultime realizzazioni (1993), la più difficile da ottenere, purtroppo subito dimezzata rispetto a quanto inizialmente previsto dal progetto.
Franco Alessio