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Migranti e smartphone

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Ci  addentriamo in un terreno infido e sdrucciolevole, lo sappiamo.

Ci sentiamo  “irritati” da quelli che  sono diventati, a nostro giudizio, pre concetti in uso a molti e cioè il legame tra migrante e smartphone che conduce ad una semplicistica ed equivoca conclusione: ”se possiedi i soldi per un telefonino non sei poi messo così male”, Cosi come le desolanti affermazioni di chi osserva i migranti calzare scarpe “Nike” o le vede adagiate sul bagnasciuga di una spiaggia dopo un naufragio e conclude “Hanno i soldi!”.

C'è poi un secondo aspetto: i telefonini consentono una connessione “senza filtri” all'informazione digitale presente sul Web, che offre, con abbondanza di falsità, un mondo illusorio offerto a tutti e spinge a cercare in quella realtà  virtuale il “benessere”.

Ora, arresi all'evidenza che i migranti fanno uso dei telefonini,  qualche mese fa  il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli disse: “visto che nelle nazioni da cui provengono gli immigrati irregolari ci sono le parabole e si fa uso dei telefonini, noi potremmo raggiungere tutte le popolazioni in difficoltà e far presente che quei viaggi non sono come vengono dipinti dai trafficanti di uomini”.

Ma davvero pensiamo di aver trovato così la facile soluzione alleondate migratorie?

Facciamo un po' di ordine. Intanto non scandalizziamoci sull'uso  dei telefonini: avere un cellulare e potersi connettere alla rete per consultare e comunicare con chi si lascia al proprio Paese o con coloro che si intende raggiungere,  attraverso un percorso pericoloso e rischioso, è elemento fondamentale che può fare la differenza tra il sopravvivere e il morire.

Un cellulare vale quanto un faro per orientarsi.

Dal nostro semplice osservatorio di visitatori occasionali dell'Africa l'accesso sorprendente all'oggetto del desiderio “telefonino” ci rimbalzò agli occhi già al nostro primo viaggio in RDC nel 2009. In quegli anni nel territorio congolese si stava diffondendo la telefonia mobile ad opera  soprattutto delle reti cinesi e, a seguire, di quelle francesi, vendendo ai locali ad un prezzo decisamente allettante quel “telefonino” che li avrebbe resi un po' più occidentali, senza contare il fatto che da lì sarebbe nata la “dipendenza” dalla rete per la ricarica e la vendita di schede.

Non è forse questa un'altra forma di colonizzazione? 

La connessione ad Internet e l'avvento degli smartphone hanno avvicinato mondi tra loro lontani  portando sotto gli occhi di tutti una possibilità di vita diversa. Ora, non vogliamp dire che il viaggio migratorio di un giovane sia determinato dallo smartphone, ma sicuramente l'invasione di immagini ammiccanti e seduttive, senza alcun corretto indirizzo e discernimento, scatenano la convinzione che un'altra vita sia possibile, lontana da quei luoghi dove il diritto, la dignità e la giustizia non conoscono alcuna realizzazione.

Ne parliamo con Elisa Zaccagna, giovane pinerolese che ha fatto un viaggio “al contrario”, lasciando l'Italia per stabilirsi in Benin nei pressi di Cotonou, al sud del Paese. Con lei nella Parrocchia Madonna della Fiducia abbiamo avviato un progetto di sostegno. “In Benin, come in moltissimi altri paesi nel mondo, soprattutto i giovani, ma non solo, sognano l’Europa - spiega Elisa Zaccagna -  Questo sogno, che si realizza in pochissimi casi, nasce principalmente dall’idea distorta che i  giovani hanno dell’Europa; ciò che conoscono si limita semplicemente a ciò che vedono nei film oppure ciò che vedono sui social, ignari del fatto che poi la vita reale laggiù non è così rosea. Partono dall’idea che in Europa tutti guadagnano molti soldi, non esiste la povertà, ci sono tutti i  confort possibili, ci si veste bene e, come si dice qua, tutti fanno la ‘belle vie’. Nessuno di loro può immaginare che non sempre lo stipendio della gente è così elevato da  permettersi grandi lussi e ancora meno, sono coscienti del costo della vita in Europa.

Moltissime volte mi è capitato in questi anni di trovarmi a discutere con i ragazzi e ogni volta, quando inizio a spiegare i costi degli affitti, del cibo, dei vestiti, delle bollette… tutti

restano esterrefatti. Racconto loro, certo, dei confort indubbiamente presenti in Europa e non qui in Beninm, ma soprattutto delle differenze di quei beni immateriali come l'uso del tempo e la cura alle relazioni interpersonali che, al contrario, in Europa, si stanno perdendo”. 

Ma non può certo bastare un'amichevole e sincera conversazione ad arrestare le speranze di cambiare la propria esistenza. Ecco, allora, che si scopre e si utilizza un'altra strada.

Sempre più in Benin si sta alzando il tasso di cyber criminalità, via più semplice per i giovani per fare i soldi”, aggiunge Elisa.

Ecco così che, nell'aspetto criminoso dell’informatica si annullano le differenze tra le genti. È forse questo il paventato incontro tra mondi lontani e culture diverse?

U. Escoffier

P. Ferrara