Tommaso è figlio di Rocco e Rosaria, emigrati bambini nel ‘50 dalla Sardegna e dagli Abruzzi. Entrambi operai, avevano lasciato il lavoro dipendente per una attività autonoma. Il commercio non aveva ferie e mutua, ma era una forma di lavoro più libero, che poteva anche essere redditizio.
Intanto il figlio Tommaso arrancava fra lavori vari, aveva lavorato per una ditta di corrieri, poi si era specializzato in manifattura ottica e lavorava in una ditta di occhiali, fallita. Aveva tentato altre esperienze lavorative, ma come molti quarantenni adesso era praticamente a spasso.
Che fare? Recuperare “il commestibile” del padre, chiuso, che intanto non aveva trovato inquilini affidabili? Come molti ero cliente di Rocco, ma lo “tradivo” sovente con la Standa/Billa. Glielo confessavo … ma anche loro ci andavano. “Per certi articoli è conveniente - mi dicevano - Noi ci andiamo anche per controllare i prezzi, i nostri sono quasi uguali”.
Tommaso ha ristrutturato tutto e ha aperto (tra la sorpresa e la disapprovazione generale anche se inespressa di clienti e conoscenti dei genitori) non un negozio di commestibili, ma un locale per scommesse.
Anch’io, nonostante la disapprovazione, sono andata a trovarlo un giorno. E’ un bel locale luminoso. Ho parlato subito con due “clienti” seduti al tavolino, ho chiesto a Tommaso il permesso, naturalmente. I due signori sulla quarantina stavano compilando un foglio. Ho chiesto cosa stavano facendo. “Stiamo scommettendo sulla partita di domani, no non sono Juventus e Torino, ma due squadre una spagnola e una portoghese. Le seguiamo da un po’ di tempo; ero venuto per incassare, ho scommesso cinque euro, ne ho incassati ventotto. Oggi scommettiamo tre euro su un’altra partita, se va bene ne incasseremo venti … piccole cifre, così esco di casa mi prendo una coca-cola al distributore, faccio due chiacchiere”.
Lei che lavora fa? “Sono muratore, autonomo, il lavoro c’è e non c’è … E’ tutta una scommessa oramai, signora, a volte i clienti non mi pagano, almeno qua quei pochi soldi si incassano certamente”, mi dice ridendo. Il clima è disteso, per niente ambiguo.
Tommaso è un giovane di quarant’anni, ferratissimo nelle nuove tecnologie. Se qualcuno, magari anziano, ha bisogno di qualche ricerca su internet lui con due manovre veloci ti dà l’informazione. “L’altro giorno - mi dice - è venuto un cliente che aveva bisogno di un cardiologo, abbiamo guardato insieme tutti i cardiologi disponibili. La gente qui scommette piccole cifre sempre sugli sport: cavalli, corse e poi chiedo la carta d’identità se vedo una faccia giovane. I casi scandalosi sono altri secondo me; ci sono donne, anche anziane, che con i gratta e vinci si rovinano”.
Comunque da Tommaso ci ritornerò, non sono molto brava con internet …Sulla porta mi dice: “Faccio anche le ricariche”.
Auguri Tommaso, il buon sangue abruzzese depura forse anche le nuove iniziative. Preferivo i peperoni e i formaggi, ma il mondo cambia. Mi sono segnata il numero del muratore. Il negozio di Rocco è di nuovo un punto di riferimento e comunicazione, oh perdon, di connessione.
STORIA DI GIANNI
Gianni era operaio, ora è “collaboratore familiare”, compirà cinquant’anni ad agosto, ma proprio non li dimostra. Ha lo sguardo del ragazzo, il fisico esile, pochissimi capelli bianchi. Glielo dico. “E’ il riposo forzato, sono cinque anni che non lavoro. Finalmente da qualche mese ne ho trovato uno … Oddio, lavoro era quello di prima, ero operaio in una fabbrica di rubinetti a Candiolo, ci sono andato a sedici anni, poi è fallita, cassa integrazione, mobilità, poi niente … solo lavoretti”.
Perché, quello di adesso non è un lavoro? “Certo - mi dice - sono un po’ più sereno, ho un figlio di diciotto anni, mia moglie è disoccupata… ma faccio il lavoro di un pakistano, in una villa in collina. Il pakistano è scappato, hanno preso me, faccio di tutto: letti, piatti, guardo i bambini, per fortuna faccio anche un po’ il giardiniere. Sa, io sono pugliese, figlio unico, mia madre non mi faceva fare niente. Anche mia moglie che è siciliana fa tutto lei, ma adesso sono a posto con i libretti … Certo ho la paga sindacale di sette e cinquanta l’ora, devo attraversare tutta Torino per arrivare lassù in collina, quasi un’ora di viaggio, ma la benzina me la pagano, sono bravi. Fanno sempre cene, tante grigliate con i loro amici, ho imparato anche a fare la bagna cauda … persino il pakistano aveva imparato”
… ASPETTANDO LA CHIAMATA
Paolo ha 37 anni, vive lavorando a “chiamata” … per quindici giorni, una settimana o anche per un solo giorno. Ha un patentino di carrellista che, mi dice, gli permette di passare davanti ad altri. Conosce alla perfezione la strana mappa di agenzie e cooperative che lo chiamano di volta in volta.
In pratica cosa fai? “Sposto merci, a volte coi carrelli, a volte a mano”.
Ci sono tante “regole” - mi spiega - nella sua retribuzione. Molta della sua fatica va agli intermediari e allo Stato. Lui prende sette euro l’ora, ma il datore di lavoro ne paga quattordici. La percentuale di intermediazione è alta, poi ci sono le tasse.
Chiedo lumi a un sindacalista. Ha i capelli bianchi: paziente, disponibile, informato. E’ una bella conversazione, cosa rara di questi tempi. “Mia figlia - aggiunge - adesso lavora in un call-center e prende quattro euro lorde all’ora, ma cosa vuole, piuttosto che stare a casa …” Mi spiega tante cose sugli ultimi contratti, sulle leggi, sul fisco. E’ una storia iniziata vent’anni fa e adesso tutto sembra diventato normale. Sono cambiate le regole, i rapporti con i datori di lavoro (nel ’68 li chiamavamo “padroni”). “Già - mi dice il sindacalista dai capelli bianchi bianchi - i datori di lavoro sostenevano di non voler più ‘sposare’ i loro dipendenti e quindi si sono cercati tutti gli stratagemmi per la cosiddetta flessibilità. E così sono fiorite le agenzie di intermediazione”. In fondo è un lavoro pure quello, gli faccio notare. “Sì certo – mi risponde corrugando impercettibilmente la fronte – un caporalato legalizzato .. mi sembra”.
Ripenso a quello che mi ha detto Paolo.
Lui non ha una casa, vive tra la fidanzata e la mamma. Quando litiga con la fidanzata, torna a casa. “C’è ancora la mia cameretta da ragazzo e poi mangio anche lì a volte, mia madre è separata, ma lei ha una pensione e qualche volta mi aiuta anche con i soldi”.
Ognuno di noi ha un concetto diverso dello scopo della vita, ma a me la vita di Paolo è sembrata “ferma”, anche se ho percepito una sua solidità ammirevole. E’ un ragazzo tranquillo, aspetta le chiamate e quando sono di due o tre mesi, e a volte capita, mi dice che è felicissimo.
Un tempo i figli se ne andavano e si disfaceva la cameretta. La mamma magari si allargava mettendo macchina da cucire e ferro da stiro; il papà aveva un hobby che finalmente poteva svolgere con spazio e tranquillità. Mi pare che adesso quasi tutti conservino “le camerette”. I matrimoni si disfano e il figlio torna a casa o, appunto per la precarietà, una casa non la può proprio mettere su.
E le donne? Ne parleremo in un prossimo articolo, intanto riporto una conversazione colta al volo in un bar fra due donne. Una dice: “Cosa continui a fare politica e a perder tempo, cercati un lavoro”. L’altra: “Non capisci proprio niente, se faccio politica … qualche occasione di lavoro almeno ce l’ho”.
Renata Vaschetto