In Italia più di 18 milioni di persone lavorano e quindi passano la giornata all’interno di aziende, enti, pubbliche amministrazioni.
Qui si relazionano, pensano, producono. In fondo è un mondo che abbiamo sempre esplorato poco, lo abbiamo osservato con libri di management o con le storie fantozziane, mentre poco abbiamo esplorato la “vita reale”, le dinamiche personali che si creano all’interno dell’azienda.
Ed è con quest’ottica che Roberto Veronesi, torinese, manager che ha lavorato per grandi gruppi italiani come Unicredit, Fiat, Seat, Iren ha scritto un bel libro “Qui non ride mai nessuno”, ed. Albatros che ci porta all’interno di questa vita. Abbiamo incontrato l’autore e con lui abbiamo scambiato qualche idea.
Nel prologo del tuo libro sostieni che le Aziende hanno un’anima, un volto, un carattere, un cervello muscolo, pensieri, energia, insomma vita propria. È un mondo vivo, può essere un mondo creativo, sano, costruttivo, ma anche un mondo tossico pieno di frustrazioni. Da cosa dipende nella tua esperienza?
“Il cosiddetto clima aziendale è dato da molti fattori come la situazione economica dell’organizzazione, dal settore, dal contesto, da fusioni o smembramenti, ma fondamentalmente dipende dalle persone che vi lavorano e in particolare dall’imprinting dei ruoli di vertice, dei capi, di coloro, più esposti e che devono dare l’esempio, creare condizioni perché si sviluppi la collaborazione e la creatività. Io ho avuto la grande fortuna di incontrare quasi sempre capi illuminati, ma non è sempre così”.
Quando si parla di “aziende” in realtà si deve considerare che le aziende le fanno le persone con le loro idee e i loro comportamenti. Come osservi l’azienda con il tuo libro?
“Provo a osservarla uscendo totalmente dai canoni tradizionali, quelli che studiamo sui libri all’università o in svariati manuali di management (e che bisogna conoscere per capire, ci mancherebbe). I meccanismi che regolano la vita delle organizzazioni sono spesso sottovalutati o non colti. L’assunzione, il comportamento, la carriera, delle persone è spesso guidato da questi meccanismi”.
Qualche esempio?
“Ne ho inseriti molti nel romanzo. Per esempio il nome delle persone, gli abiti che indossano, il fisico, la pausa pranzo, la mensa, come camminano, i colori delle pareti. Fate caso, è mai possibile che in un settore si chiamino tutti Fabrizio, Maurizio o addirittura Maurizio Brizio? O in un altro tutti portino gli occhiali? Tanti anni fa nel settore qualità di una azienda in cui lavoravo c’erano 8 persone, tutte bionde/i con occhi chiari meno uno. Molto bravo. Trasferito in organizzazione dopo 3 mesi. E se al vertice di una azienda sono tutti robusti, per non dire grassi, cosa ci fa uno magro? Verrà cacciato, è ovvio. O come e cosa mangiano. Faccio un esempio in un’organizzazione totalmente diversa, una squadra di calcio. Tutti i giocatori sono tatuati. Se non ti tatui anche tu sei visto con sospetto”.
Il protagonista del libro è Ricardo. Un consulente, abbastanza giovane, in fondo non ha mai vissuto la vita di azienda, ma decide di entrarci. Perché lo fa? Per ambizione? Per curiosità? E come si accorge che la realtà è diversa da come se la aspettava?
“Ricardo coglie l’occasione che si presenta. Ha 30 anni, è laureato, ha un master, è brillante e curioso. Un po' per caso gli viene offerta una posizione molto interessante all’interno di un grande Gruppo che opera praticamente in monopolio, ma che sta per vedere svanire questa posizione di privilegio e allora decide di sparare alto fa richieste importanti (retribuzione, prospettive di carriera) che gli vengono accordate. E così entra in gioco nel vero senso della parola, prima aveva lavorato da esterno, da consulente, da osservatore, da suggeritore. Assistente al direttore generale per favorire il cambiamento. Ha quindi una posizione privilegiata, un po' dall’alto per osservare numeri, dati, incontrare persone. E per lui non è difficile capire che l’organizzazione deve fare in fretta per porre rimedio a una situazione che sta diventando critica, indici e numeri in calo, concorrenza alle porte, comportamenti rigidissimi, rituali sempre uguali ripetuti all’infinito. Si confronta con il direttore generale, ma ogni tentativo di modificare le regole incontra la resistenza passiva dei vertici, un muro di gomma che conosce un solo modulo di gioco, adotta quello all’infinito, incolpa il “mercato” delle performance in calo e non fa nulla per cambiare perché non vuole modificare il proprio status quo”.
Mi sembra che Ricardo si scontri con un tema che troviamo spesso nelle dinamiche sociali, quello del “potere”, di un organismo dove le persone non sono tanto interessate a far crescere azienda nel mercato quanto piuttosto a mantenere ed accrescere il proprio potere…. quasi il mitico “Il potere logora chi non ce l’ha…”
“Sì, vero. Il potere e l’uso del linguaggio nelle organizzazioni permea il successo o l’insuccesso di una azienda e non esagero. Fammi fare una breve digressione. Come vengono, veniamo chiamati quando lavoriamo in azienda. DIPENDENTI, IMPIEGATI, SOTTOPOSTI. Sono tutte parole terribili che accendono nel nostro cervello determinate immagini. Non sarebbe meglio usare la parola PERSONE? Torniamo al potere. Non è né buono né cattivo, ma ha in sé un portato negativo che può indurre a comportamenti negativi. Pensa all’iconografia classica del potere, potere = tirannia, autoritarismo. Mi piace molto di più pensare e usare la parola responsabilità. Chi è a capo di una struttura ha la responsabilità, più che il potere. Ricardo si scontra con il potere, quello che decide del futuro delle persone e della azienda, quello che richiede ubbidienza, e le tre “d”, dedizione, delazione e devozione a prescindere, che controlla tutto, che fa sì che tutto cambi perché nulla cambi. Il potere nella sua versione brutta”.
Come mai è importante ridere in azienda?
“È importante ridere nella vita. Cercare il lato positivo di ogni cosa. Il lato leggero, che non vuol dire sciocco. Penso alla leggerezza di Calvino. Ridere fa bene alla salute, ridere libera la fantasia e la creatività, fa bene agli altri, aumenta le energie è contagioso, è produttivo, riduce lo stress e la fatica. È un atteggiamento mentale, siamo noi a decidere di fronte a ogni cosa se vedere la parte negativa o quella positiva. In azienda allora è fondamentale ridere per capire, per approfondire, per non prendere e non prendersi troppo sul serio, per lavorare in armonia. Capita spesso di presentare un progetto, un’idea, una iniziativa e vedere due atteggiamenti diversi, chi ne vede subito e solo possibili difficoltà e chi si entusiasma e approfondisce per poi evidenziare le criticità Il secondo tendenzialmente è più capace di ridere”.
In fondo questa entità “l’azienda” è uguale dappertutto, leggendo il libro mi è sembrato di conoscerle le persone di questo libro. La domanda è: come si fa a restare sé stessi dentro ad una cultura che ha le sue logiche?
“Il primo passaggio è quello di capire bene la cultura e i valori di una organizzazione. Se cultura, valori, comportamenti sono coerenti con la persona o sono simili, non ci sono problemi. Se sono diversi, molto diversi, ci sono diverse opzioni. Prima di tutto riconoscere che non sono giusti o sbagliati, sono diversi. Poi chiedersi se posso contribuire, suggerire a cambiare per migliorare i risultati, il clima ecc. Poi ancora adeguarsi o rimanere se stessi con grande consapevolezza. Infine andarsene, se si può.”
Il libro è ambientato in un contesto anni 90 e poi inizio 2000. In questi ultimi anni abbiamo visto, complice la pandemia, nascere nuove forme di lavoro come il lavoro a distanza o ibrido che stanno cambiando profondamente anche le logiche. Anche la fedeltà all’azienda, il mitico “posto fisso” è entrato in crisi e si vede una mobilità incredibile dei giovani. Le logiche che descrivi nel libro sono ancora valide o sono destinate a mutare?
“È cambiato tanto, le condizioni al contesto sono molto diverse e costringono a cambiare. Attenzione all’ambiente, a nuovi valori, le modalità operative, la pandemia e il conseguente smart working appunto hanno fatto saltare assiomi che sembravano inossidabili come il controllo fisico, l’orario rigido ecc. Come dice Baricco abbiamo fatto un salto di 5 anni. Soprattutto i giovani si spostano con una frequenza e facilità estrema, alcuni lasciano il lavoro fisso per avere più tempo per sé. Il fenomeno degli abbandoni è un trend in crescita. I capi intermedi vedono perdere di significato il proprio ruolo di controllori. Si tratta di trend. Il mondo del lavoro però è molto variegato e confrontandomi con molti colleghi e rappresentanti di varie associazioni, ecco diciamo che comunque le organizzazioni esprimono ed esprimeranno una loro cultura, valori e comportamenti dominanti”.
Un libro dunque che racconta un punto di vista diverso e originale, pone lo sguardo su un mondo poco raccontato, fa riflettere e, cosa non comune, fa sorridere.
Paolo Colombo