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Dom, Dic
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Periferie ad alta tensione. Cosa ne pensano i ragazzi

Inchieste
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Generazione Z: chi sono gli adolescenti del 2022? Sicuramente non solo quelli che, in una serata di gennaio, all’imbrunire, nel quartiere Castello, hanno messo in scena un regolamento di conti tra bande.

All’assalto, da parte di una frotta di minorenni torinesi in trasferta punitiva dal quartiere Barriera di Milano, hanno risposto i coetanei locali, dando vita a una mega rissa, sedata dai carabinieri. “Erano tanti, dappertutto – raccontano all’oratorio della parrocchia Madonna della Fiducia, dove un gruppo di ragazzi è rimasto asserragliato, in attesa che tornasse la calma – Si sono scontrati in piazza Aldo Moro, ma hanno riempito via Trento, via Turati, dietro il centro commerciale e poi si sono dispersi in via Torino. Uscire faceva paura”.

Ufficialmente, a scatenare l’incursione vendicativa a Nichelino, è stato un incontro/scontro alle giostre, nelle feste di Natale. Addobbi, luci, atmosfera e il contorno del parco divertimenti, evidentemente, non hanno reso più buoni, se il rancore è covato e ha fatto proseliti.

Ma, probabilmente, questo è solo un pretesto. “E’ una storia che va avanti da più di due anni: hanno continuato a provocarsi, con la volontà di arrivare a picchiarsi – racconta Rachele, 13 anni – A volte queste cose nascono così, due persone si scontrano, chiamano i più grandi e alla fine viene fuori un casino”. “A scuola sono anni che si sente parlare di questi raid – conferma Luca, 16 anni – Ma non capisco cosa possa provocare una cosa così grande e coinvolgere così tanta gente”.

La pandemia massacra la scuola, primo centro di aggregazione e di confronto, oltreché punto di riferimento per la formazione dei cittadini di domani. “Manca il rapporto con i compagni e i professori – ammette Michele, 15 anni – A me non vederli, non comunicare, non avere consigli rende più triste annoiato, intrattabile. E mi pare che, certi ragazzi che prima avevano un atteggiamento un po’ ‘così’, ora mostrino più aggressività”.

Ma il dilagare del virus Covid19 ha tagliato fuori anche tutte le occasioni d’incontro, prevenzione, supporto, tipiche dei gruppi parrocchiali, degli oratori, di società e associazioni sportive. Al quadro di disagio si possono aggiungere, ancora, il consumo di alcool, in aumento tra i teenager, e lo spaccio di droga, che coinvolgerebbe fasce di età sempre più giovani. Due spettri ricorrenti, quando si parla di aggressioni ai coetanei, furti e assalti all’arma bianca.

Solo ipotesi. Di certa, in casi come quello locale, c’è solo la volontà di arrivare al regolamento di conti. E sorprende che i ‘nativi digitali’, definiti così per la loro confidenza con la tecnologia, usino i social media come un vecchio megafono e, per confrontarsi tra loro, scelgano l’arcaico rapporto ‘fisico’, lo scontro.

La Storia, comunque, propone i classici corsi e ricorsi. I giovani protagonisti di oggi si stupiranno, ma le bande e i raid nelle periferie sono storia vecchia. Cambiano gli obiettivi, le zone, l’indice di violenza, i numeri dei protagonisti e l’eco sui social. Se un tempo le incursioni coinvolgevano piccoli gruppi, oggi si amplificano in rete e sfiorano il ‘fenomeno di massa’.

Ma non sono lo stile di vita di una generazione.

L’attacco nichelinese ha visto in campo circa 130 adolescenti, tra ‘indigeni’ e ‘ospiti’. O forse “molti di più”, assicurano nel quartiere Castello. Ma, tanti, ne sono rimasti fuori.

La generazione Z, nella fascia tra i 13 e i 16 anni, a Nichelino conta 1.932 residenti (dato Istat al gennaio 2021). Che, a volerli ascoltare, hanno qualcosa da dire. “Non è che diventi figo perché hai fatto un macello e sei finito in tv”, commenta Sara, 12 anni, supportata da Chiara, appena un anno in più. “Faccio scena e mi sento importante, ma non c’è niente di cui vantarsi se sei stato a fare una rissa”.

‘Bande fluide’, sono definite queste moderne aggregazioni, in cui si entra e si esce senza una vera appartenenza. La stessa assenza di collocazione che, probabilmente, i componenti provano nei confronti della società, della città, delle opportunità. “Penso che tanti ragazzi della mia età siano infantili – considera Luca – Non so se sia colpa loro o dei loro genitori, ma forse anche in casa c’è poca attenzione a certi atteggiamenti”. E sulla famiglia riflette anche Andrea, 14 anni. “Chi fa queste cose probabilmente non vive in buone situazioni. Magari, a casa potrebbero aiutare a capire che la violenza non risolve i problemi”. Ma il coetaneo Marco, come molti altri, riflette sulla responsabilità individuale. “Non so se ci sia un modo per dimostrare che la violenza non serve a nulla, dovrebbero essere loro a pensarci e capirlo”. “Per risolvere i problemi si potrebbe parlare di più – propone Martina, 13 anni – Però, spesso, tra noi ragazzi i confronti sono aggressivi e il linguaggio che si usa ferisce ugualmente”.

Paradossalmente, nelle bande si realizzano la parità di genere e il rispetto delle ‘quote rosa’. Impressiona i testimoni la presenza massiccia di ragazzine, che sfoggiano la violenza come rivendicazione di uguaglianza. Altrettanto rilevante è il coinvolgimento dei giovani italiani di seconda generazione. Nati e cresciuti fianco a fianco, gli adolescenti di oggi restano distanti, non si riconoscono tra loro, negano appartenenza sociale e integrazione. La multiculturalità sembra un concetto etereo e le diversità diventano un alibi per amplificare rabbia e ribellione. “Forse, per qualcuno, picchiare è un modo di dimostrare di essere più forte di quello che gli altri credono, di mostrarsi senza paura”, considera Martina e le fa eco Andrea: “Pensano di essere più forti e che fa figo raccontare certe cose”. Eppure, conclude il dodicenne Federico: “Picchiare per niente non ha senso”.

Cristina Nebbia