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Dom, Dic
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Una società in corto circuito

Inchieste
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Cosa si cela dietro a questa nuova ondata di violenza giovanile?

La pandemia ha senza dubbio portato alla luce problematiche preesistenti spesso passate inosservate e/o sminuite: la violenza distruttiva verso l’Altro si sta ponendo, col suo tono di voce sempre più alto, come richiesta di aiuto. Aiuto nei confronti di una deprivazione, di elevati livelli di frustrazione che allontanano i giovani da qualunque opportunità di inserimento sociale, di soddisfazione dei propri bisogni. La prospettiva di futuro, in termini di progettualità, è assente o annebbiata. C’è la paura di non saper far fronte ad un presente caratterizzato dal vuoto.  

La deriva del disagio individuale verso forme di devianza collettiva, specialmente tra i ‘giovani ai margini’, è sempre più rimarcata, come ha di recente evidenziato Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, autore del libro “L’età tradita”.

L’ambiente è una variabile che influenza un dato comportamento. In questo senso il degrado si diffonde a macchia di leopardo nelle aree in cui l’incuria, il disordine, l’anomia, l’abbandono della riqualifica e della prevenzione fanno abbassare le barriere. In un articolo intitolato “Per un’integrazione possibile: processi migratori e periferie urbane”, Vincenzo Cesareo, docente dell’Università Cattolica di Milano, sostiene che attualmente non sia corretto paragonare le periferie urbane italiane con le banlieues francesi; sarebbe, tuttavia, irrealistico negare che in esse non si riscontri malessere e disagio.

L’immigrazione, dagli anni 80 in poi, ha acutizzato problemi già presenti offrendo minori possibilità di integrazione: ne sono conseguiti tensioni, un clima di incertezza e di precarietà che vedono coinvolti in prima linea giovani minorenni quasi sempre figli di immigrati di seconda generazione. La violenza, come ricerca di confronto e consenso, è la conseguenza di un’assenza di comunicazione e orientamento verso il valore intrinseco di ogni individuo. Pregiudizi, la difficoltà a sentirsi pienamente inseriti in culture diverse dalla propria, le ridotte risorse economiche correlate ad un basso titolo di studio e a minori opportunità nel mercato del lavoro influiscono sul benessere complessivo. Al malessere interiore si cerca, per istinto di sopravvivenza, di far fronte spostando all’esterno la propria rabbia, il proprio malcontento, il proprio malumore. Situazioni disagiate derivano spesso da contesti familiare, disoccupazione e insuccessi scolastici, vuoto di prospettive, assenza di fiducia generalizzata e identità non strutturate.

“Degrado che genera altro degrado”, in una società sempre più basata sul narcisismo e sull’individualismo. Di fronte al dolore i giovani, immigrati e non, risultano sempre meno preparati e allo steso tempo sempre più vulnerabili.  Alla luce di tutte questi fattori precipitanti il gruppo, quale interfaccia tra il singolo e la collettività, funge da habitat prediletto dagli adolescenti. Già Maisonneuve, nel 1973, scrisse in “La dinamica di gruppo” come sia rilevante tener conto del binomio gruppo-legame: la forza che deriva dall’appartenenza al gruppo per alleviare ansia, vissuti di insicurezza e di solitudine. Le bande giovanili, costituite da una forte coesione interna, a causa del disadattamento giungono sulla strada inevitabile dell’adozione di condotte disfunzionali. Il boom delle risse tra giovani, specialmente residenti in zone periferiche, sta dilagando: come già spiegava la Teoria delle finestre rotte, formulata nel 1982 dal politologo Wilson e dal criminologo Kelling, la devianza è la conseguenza diretta del caos e del degrado. I piccoli crimini che si sommano invitano a compierne ripetutamente di gravità sempre crescente. Le baby gang rappresentano, dunque, la semplificazione di un discorso certamente più articolato.

La chiusura impartita dalla pandemia non è l’unica causa dello scoppio di una rabbia diffusa: disagi già presenti sono stati posti sotto i riflettori, e condizioni di fragilità sono apparse in maniera sempre più nitida. Dall’incomunicabilità, al silenzio di fronte a svariate grida di aiuto, alla trasmissione di forme di educazione giustificanti la violenza, a norme autoimposte come segno distintivo nei confronti dell’Altro, diverso e dunque pericoloso, alla fuga in forme di divertimento da cui si vuole uscire vincitori inseriti in scenari post-apocalittici: tutto questo altro non è che il retroscena di una società che, smarrendo il senso della vita, è destinata all’autodistruzione.

Come sottolinea lo psicoterapeuta e scrittore Alberto Pellai in un’intervista, la famiglia deve tornare ad essere la promotrice da cui deriva ciò che serve ai giovani per stare bene e per crescere. Il disagio genera violenza che va contrastata, frenata, debellata attraverso la diffusione di valori sani e prospettive inclusive. Fare prevenzione sociale e culturale significa anche tornare ad implementare “gli spazi aggregativi del terzo settore e del circuito sociale”, come ha evidenziato Stefano Lo Russo, sindaco di Torino, dopo gli ultimi episodi di violenza metropolitana. Questi devono essere gli obiettivi per evitare di avere giovani sempre più ai margini ed emarginati.

Lorena Viale
Psicologa