Nel 2019 erano 570 mila, nel 2021 sono oltre 4 milioni i lavoratori che lavorano prevalentemente in smart working. Quello che era un fenomeno sperimentale di alcune aziende “evolute”, complice la pandemia, è diventato, spesso da una settimana all’altra, il modo di lavorare.
In qualche caso è stato più semplice: le persone erano già dotate di pc portatile, esistevano i collegamenti VPN per l’accesso dall’esterno e i sistemi centrali erano adeguatamente blindati. In altri casi, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, ci si è davvero dovuti inventare tutto, dalla sera alla mattina.
In realtà quello dell’ultimo anno e mezzo più che uno smart working, inteso come lavoro che può esser fatto dove ci si trova, è stato un home working, con le persone che hanno dovuto riadattare gli spazi casalinghi per ritagliarsi un buco tra le mura di casa, seduti al tavolo del salotto o davanti ad un’improvvisata scrivania sistemata in camera da letto.
NUOVI SCENARI
Ora che tutto sembra tornare ad una situazione più normale cosa succederà? Si tornerà tutti in ufficio come prima oppure questa modalità di lavoro è destinata a diventare strutturale?
A giudicare dalle scelte fatte da molti colossi mondiali lo smart working, pieno o parziale, è destinato a diventare la modalità di lavoro dei prossimi anni.
Quel che è certo è che con lo smart working ci guadagnano tutti (o quasi).
Guadagna il dipendente che risparmia sui costi di trasporto, sul tempo di spostamento andata e ritorno, persino sul costo dell’abbigliamento perché a casa mica servono giacca e cravatta…e sovente ci si veste bene solo dalla metà in su, dove si viene inquadrati con la camera del pc.
Si lavora a casa propria, in un ambiente conosciuto e con la possibilità di svolgere anche qualche adempimento casalingo mentre si è a casa.
Guadagna il datore di lavoro che risparmia sui costi dell’affitto degli uffici, sul servizio mensa, pulizie, illuminazione, linea telefonica, sul costo dell’energia.
La necessità di lavorare da casa inoltre ha dato una grande accelerata alle tecnologie di cooperazione da remoto. Ora i meeting in presenza, che sovente richiedevano trasferte e spostamenti (con relativi costi e utilizzo di tempo lavoro), si fanno ora su Teams, Zoom o altro.
Da uno studio di Repubblica emerge che le aziende per ogni posto di lavoro spostato in remoto guadagnano in media 10.000 Euro anno.
Guadagnano persino le città, perché meno spostamenti vuol dire meno auto in giro e meno inquinamento. Gli unici che ci perdono sono i lavoratori dell’indotto come i bar e i ristoranti nei pressi degli uffici e le ditte di trasporto locale, aggiungiamo anche meccanici, carrozzieri e benzinai.
TIRIAMO LE SOMME
Risultati dello smartworking? In quasi tutte le realtà straordinari. L’efficienza è rimasta uguale se non addirittura aumentata, i dipendenti hanno ripagato la fiducia che è stata accordata. Diciamo che chi lavorava prima con lo smartworking ha lavorato ancora di più…
Ma non sono tutte rose, tant’è che sovente nelle aziende si è passato da “Che figo lo smart working” a “Che palle lo smart working”. Il lavoro è anche luogo di relazione. Con i colleghi si parla, si discute anche, ma questo aiuta a crescere, si stabiliscono legami personali che aiutano nel lavoro e anche nella crescita personale.
Ci si incontra sulle scale, sull’ascensore o al bar, si scambiano quattro chiacchere magari sulla partita della domenica, ma poi si scambiano informazioni sullo stato di una pratica o un progetto e si acquisiscono informazioni.
Collegarsi con le persone in videochiamata non è la stessa cosa. Si rischia un po’ l’effetto social. Se un collega “mi piace” lo chiamo e mi confronto, sennò lo ignoro o lo chiamo solo se proprio necessario. Manca insomma la relazione.
Lavorare sempre a casa inoltre non è semplice, ci si inserisce nelle dinamiche familiari tutto il giorno con figli e coniugi che spesso dimenticano che si sta lavorando. Gli spazi sovente sono quelli che sono per cui tra marito e moglie in smart e figli in DAD ci si disturba a vicenda, qualche volta sembra che manchi un po’ d’aria a restare sempre a casa. Inoltre gli orari sono saltati: mail, telefonate a tutte le ore, lavori da finire...tanto sei a casa…
NON È COSÌ SEMPLICE
Anche dal punto di vista delle aziende qualche complicazione non manca. Anzitutto l’engagement delle proprie risorse diventa molto più complesso o comunque richiede di alternare tecniche diverse per coinvolgere e creare senso di appartenenza in chi sta in ufficio, ma anche in chi resta a casa.
Bisogna cambiare il modo di lavorare, non è più tanto importante il lavoro “a testa bassa” senza distrazioni, diventa importante raggiungere gli obiettivi. Chi deve cambiare la propria mentalità sono molti manager, ancora oggi ossessionati da logiche di controllo: devono invece imparare a dare obiettivi e verificare il raggiungimento, una bella sfida per chi vuole avere sempre i propri collaboratori a portata di occhio, vecchia abitudine che però sopravvive ancora molto nelle aziende.
Il “fare” resta importante, ma il “sentire” va abbinato al fare, occorre saper valorizzare i punti di vista differenti all’interno delle aziende, solo valorizzando le persone anziché controllarle si riuscirà a creare un ambiente di lavoro inclusivo. Si tratta di creare una “leadership gentile” che è l’antitesi della leadership dell’arroganza e del potere.
Cosa succederà ora?
Molto probabilmente si andrà verso una soluzione intermedia che prevede alcuni giorni a casa e altri sul lavoro (3 e 2 o viceversa). Una soluzione di questo tipo consente comunque alle aziende di risparmiare sui costi e ai lavoratori di avere un margine di flessibilità per poter gestire meglio il proprio tempo.
Certo dovremo scordarci i vecchi uffici come li abbiamo sempre pensati, con i muri divisori e lo spazio assegnato. Il futuro, piaccia o no, è degli open space, grandi spazi comuni dove non ci sono scrivanie assegnate, la scrivania si prenota il giorno precedente con una app, ognuno ha il suo notebook e una connettività con uno spazio cloud che consente di lavorare ovunque, unico angolo personale nei palazzi uffici sarà un metro lineare di armadio dove riporre le proprie cose.
Bello? Brutto? Vedremo, sicuramente diverso. Quel che è certo è che in questo periodo tutto è cambiato alla velocità della luce, anche nell’abitudine all’uso delle tecnologie da parte delle persone si è fatto in qualche mese un salto di almeno un lustro. Tutto quello che ci sembrava normale è diventato diverso anche nella vita di tutti i giorni e questo è successo anche nel mondo del lavoro.
Cosa porterà in modo più generale lo vedremo nei prossimi anni, sta a tutti vigilare affinché tutti possano lavorare con dignità in un contesto dove non vincano solo le leggi dell’economia e del profitto e il lavoro sia di qualità, dignitoso e aiuti tutti a crescere anche come persone.
Paolo Colombo