Scossi e legittimamente molto preoccupati dall’intensificarsi degli attacchi terroristici in Europa, siamo portati alle facili generalizzazioni
Assad contro i ribelli, l’Isis contro entrambi, iracheni contro iraniani, Erdogan contro Gülen, Emirati arabi contro Quatar. Non sono forse tutti quanti mussulmani?
Forse non ci siamo accorti che lo scontro più cruento è in atto proprio all’interno del complicato e a noi sconosciuto mondo islamico. “L’attacco all’Occidente” non è lo scenario principale, ma semmai uno dei tragici effetti collaterali. Gli attentati di matrice yihadista in Europa sono un’appendice di questo gigantesco conflitto interno all’islam. E’ una yihad ormai entrata in contraddizione con se stessa: con “combattenti” che sanno poco o nulla di Corano e che non si fanno scrupolo di violare le regole tradizionali della yihad, come il rispetto verso donne e bambini e il divieto di combattere durante il Ramadan. Giovani “islamici radicalizzati” che però hanno assimilato usi e costumi della società che odiano, dai videogiochi alla droga.
Sullo sfondo ci sono sì diverse interpretazioni del Corano e della sharía, ma a ben vedere queste questioni “teologiche” assurgono, come in tante guerre del nostro passato, il ruolo di pretesto, perché le vere cause sono da ricercare nella sfera del dominio politico, economico e commerciale.
SUNNITI E SCIITI
Ragioni “teologiche” sono forse alla radice dell’atavica lotta tra sunniti e sciiti, che risale ai primissimi passi dell’Islam, circa la questione di chi fosse da considerare l’autentico interprete di Maometto.
“Il sunnismo è una confessione islamica senza gerarchia religiosa – spiega Jaume Flaquer, esperto di Islam - Gli imam non sono ‘clero’, ma solo dirigenti della preghiera. Qualsiasi fedele può fungere da imam e qualunque imam può smettere di esserlo. Devono (o dovrebbero) essere ben formati nel diritto islamico ed esercitano la loro attività come impiegati pubblici. Di fatto, i paesi arabi sunniti hanno ognuno un ministero in materia religiosa, che contratta gli imam come funzionari. Lo sciismo, invece, considera che certe persone sono dotate di una luce divina, che dà loro capacità e conoscenze speciali della realtà e che non sono troppo lontani dalla categoria dei profeti. Questo per un sunnita equivale a una bestemmia ed è inaccettabile dopo la morte di Maometto”.
Gli sciiti sono maggioranza assoluta solo in Iran e in molti paesi a prevalenza sunnita sono duramente perseguitati. Eppure sono anch’essi mussulmani. A loro volta sia il sunnismo che lo sciismo sono frastagliati all’interno in una moltitudine di correnti, gruppi e scuole.
Non c’è un islam, ci sono tanti islam.
E’ vero che negli ultimi decenni si è largamente diffusa l’ideologia salafita che predica il ritorno all’islam integrale delle origini, ma anche qui con tutta una serie di distinguo e differenze. Non è un mistero che Arabia Saudita ed Emirati Arabi siano stati i maggiori fautori dell’ideologia salafita nella versione del “wahhabismo”. Ciò non ha impedito a questi paesi di essere tra i maggiori partners commerciali – e qui ritorna la questione economica – di quell’occidente e di quella “modernità” che in teoria dovrebbero distruggere.
Dal momento che in Europa la presenza musulmana è diventata numericamente significativa è chiaro che tutte queste tensioni cessano di essere interne all’islam e sono destinate a produrre effetti sempre più marcati all’interno della nostra società.
Ciò non toglie che tra musulmani e islamisti ci sia una profonda differenza, come spiega Wael Farouq, docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano: «I primi sono le persone di fede islamica, i secondi quelli che trasformano la religione in ideologia e sono pronti a morire e uccidere per renderla dominante. Una persona che prega, digiuna e rispetta la propria tradizione religiosa è un musulmano, ma una persona che considera la propria tradizione religiosa come un progetto politico per purificare le altre tradizioni (che ritiene corrotte) è un islamista. L’islam politico, in sostanza, non è una scelta che si fa per se stessi, ma una scelta che si cerca in tutti i modi di imporre agli altri».
ARABIA E QATAR
Ci siamo accorti per esempio solo in queste ultime settimane che da tempo esistevano profondi contrasti tra Arabia Saudita e Qatar, entrambi a maggioranza sunnita ed entrambi “wahhabiti. Il Qatar ora è stato completamente isolato dagli altri stati del Golfo con l’accusa di fomentare il terrorismo. L’Iran, sciita, per soccorrerlo e rifornirlo ha messo in piedi nel giro di pochi giorni un gigantesco ponte aereo.
Cosa dire allora del denaro saudita che finanzia moschee e imam fondamentalisti in Europa?
Uno scontro tra sceicchi, titani della finanza. Il Qatar, grande quanto il nostro Abruzzo, è però ricchissimo. Possiede un impero televisivo (Al Jazeera), catene di hotel in mezzo mondo, squadre di calcio di massima divisione (per il 2022 gli è stata assegnata l’organizzazione dei Mondiali), fondi d’investimento e sconfinati possedimenti immobiliari in Europa; Doha, la capitale, è una città avveniristica. Lo stesso dicasi dei suoi “cugini”, ora nemici, della penisola arabica.
E quando mai l’occidente – America in testa – si è posto il problema del fondamentalismo se si trattava di fare affari? Trump continua a foraggiare l’Arabia Saudita e nel contempo gli americani mantengono la loro maggiore base area in Medio Oriente proprio nel Qatar, mentre il “democratico” Erdogan, mussulmano, si propone come mediatore.
Questo gioco a scacchi di alleanze variabili, a seconda degli interessi economici, che cosa ha a che fare con l’essere mussulmano? Che cosa c’entrano i rubinetti d’oro e gli yacht di lusso con la religione?
Foto: L'avveniristica capitale del Qatar