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Dom, Dic
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Il problema non è solo Trump

Società e cultura
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Risulta a molti di difficile comprensione la politica internazionale attuale e in particolare quella americana

, per ciò che riguarda i nuovi assetti del mondo, con le superpotenze che ridiscutono le loro sfere di influenza. Per incominciare a farsi un’idea bisogna partire da un dato non secondario: il debito estero americano è attualmente superiore a 23.000 miliardi di dollari, un tetto mai toccato in precedenza, basti pensare che il pagamento degli interessi corrisponde ora al doppio della spesa militare degli USA. Per aver un parametro di riferimento, quando il nostro paese subì la manovra “lacrime e sangue” del governo Monti, in Italia il debito era di circa 400 miliardi di dollari.

Un altro problema per l'America sono le conseguenze del processo di globalizzazione con decenni di delocalizzazione delle industrie. Questo processo ha portato grandissimi guadagni alle multinazionali, ma allo stesso tempo ha causato la deindustrializzazione dei paesi cosiddetti avanzati, con perdita di posti di lavoro e impoverimento anche della classe media. Spostare le lavorazioni in Cina e in altri paesi con meno costi di produzione, ha portato un grande beneficio economico ai grandi gruppi finanziari, ma quando a loro volta questi paesi hanno raggiunto capacità e autonomia tecnologica, si sono trasformati in competitor nel mercato globale.

Peraltro le attuali politiche di Trump non nascono dall’oggi al domani, ma si tratta di un percorso che l'America ha già imboccato da una decina di anni. Lo slogan che abbiamo cominciato a conoscere: MAGA Make America Great Again (rendiamo l'America di nuovo grande) che è stato usato in declinazioni simili da vari presidenti statunitensi, da Reagan, ma anche da Bill Clinton.

Questa idea rende più intellegibile le recenti dichiarazioni su Alaska, Groenlandia e Panama. Il punto principale è curare i propri interessi strategici, anche a spesa degli alleati, se necessario. 

Questi ultimi tempi ci hanno dato un brusco risveglio. Cresciuti per decenni nel mito dell’America, vista come la patria della libertà, delle opportunità e del benessere, cominciamo ora a renderci conto della sua crisi: probabilmente ne uscirà, ma bisognerà vedere a spese di chi. Si incomincia forse a capire che per le grandi potenze, nessuna esclusa, la parola “gratis” non esiste. Con la politica dei dazi stanno cercando di spostare fondi e produzione industriale nei propri paesi (cosa che per altro è già in corso da alcuni anni) giocando con il minore costo dell’energia e la minore tassazione.

In tutti questi sconvolgimenti, già si parla di colloqui tra le grandi potenze per la riduzione degli armamenti. Invece è in corso uno spostamento degli oneri di spesa delle industrie delle armi verso l'Europa per il riarmo. I nostri statisti europei vogliono probabilmente usare questo come merce di scambio per richiedere una diminuzione dei dazi. D’altro canto l’80% delle industrie d’armi sono in mano agli USA.

Certo fanno scalpore certe uscite di Trump, come il video di su Gaza. Scandaloso senza dubbio, ma ancor più scandaloso è che molti di quelli che oggi si stracciano le vesti per un video, abbiano detto poco o nulla per gli oltre 50,000 morti nella striscia di Gaza... e questo dato non conteggia i dispersi sotto le macerie. L’idea della deportazione, chiamate eufemisticamente “spostamento”, espressa da Trump a riguardo dei palestinesi, non è una novità assoluta. Era già stata utilizzata a spese dei nativi americani (Indiani d’America), scacciati e rinchiusi nelle riserve.

M.aP