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Dom, Dic
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Bibbia per tutti - Abramo, Agar e Ismaele

Società e cultura
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Finalmente Sara, moglie di Abramo, dopo tanti annunci, promesse e tempo diventa mamma:

“il Signore visitò Sara, come aveva promesso. Sara partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia… Abramo aveva 100 anni” (Gen 21, 1-3). Il numero 100 indica perfezione (10x10), anche Sem aveva cento anni quando generò Arpacsad… lo scrittore biblico vuole cercare un parallelismo tra il figlio prediletto di Noè e il nostro patriarca. Il versetto successivo continua a giocare sul significato del nome del bambino con due variazioni.

1)” Dio mi ha procurato un sorriso”, disse Sara. Ishaq El, cioè “Dio dà il sorriso alla donna”, assonante col nome Itzak, Isacco (Ishà vuol dire donna).

2) “Chiunque lo saprà riderà lietamente di me. Ho partorito un figlio nella vecchiaia”. Qui Sara si riferisce alle risate di presa in giro, alle chiacchiere e ai pettegolezzi che si possono fare tra vicini di clan, di tribù. Alcuni testi extrabiblici sono così consci di questa problematica, dovuta alla veneranda età dei due genitori, che aggiungono: “nel primo giorno della Pasqua Isacco vide la luce e per mettere a tacere le voci di quanti insinuarono ‘è mai possibile che un uomo di 100 anni concepisca un figlio?’ Dio ordino all’angelo preposto all’embrione, in procinto di dargli forma e aspetto, di rendere Isacco identico a suo padre, come due gocce d’acqua. Così vedendo il figlio nessuno avrebbe potuto ridere di Abramo e avrebbe esclamato: è proprio suo padre!”.

“Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorn” (Gen. 21,4), come prescrive la Torah, poi “Isacco crebbe, fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto”. I commentatori ricordano che a quei tempi in Oriente il periodo di allattamento era molto lungo, dai due ai tre anni. Con questo banchetto il padre presentava ufficialmente il bambino al clan e si ringraziava Dio, data l’alta percentuale di mortalità infantile. Ma proprio durante la festa” “Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana scherzava con il figlio Isacco. Altri traducono “vide che derideva Isacco”. Torna il verbo ridere, prendere in giro, scherzare. Questo fatto fa andare Sara su tutte le furie e così “disse ad Abramo: scaccia quella schiava e suo figlio”, non pronunciandone neanche il nome tanto è il suo disprezzo. Così Agar viene allontanata per la seconda volta dalla casa, ma Abramo viene consolato da Dio: “ascolta la voce di Sara… Io farò diventare nazione anche il figlio della schiava (n.d.r Ismaele, figlio di Abramo e Agar), perché è tua discendenza” (Gen. 21, 12-13).

Il piano di Dio va avanti nonostante i capricci e le gelosie di noi umani. “Abramo si alzò di buon mattino, prese del pane e un otre d’acqua, li diede ad Agar e la mandò via”. Poi la povera Agar non solo si perde nel deserto, ma “tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il bambino sotto un cespuglio, andò a sedersi di fronte dicendo: non voglio veder morire il fanciullo”. Anche Ismaele piange e Dio, come sempre nella storia della salvezza, “ascolta la voce del povero” e corre in aiuto: “non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo”. Qui si sottolinea ancora il significato del nome Ismaele: “Dio ascolta”. I versetti successivi ricordano che anche Ismaele sarà un nomade nel deserto del Sinai, sarà un abile arciere e sposerà un’egiziana.

Il capitolo si conclude con il racconto di un accordo/alleanza tra Abramo e quel pollo di Abimelek, re di Gerar, che avevamo visto farsi fregare dal patriarca nel capitolo precedente. Ora, di nuovo, Abramo si fa beffe del reuccio locale, perché i rispettivi servitori litigano per il possesso di un pozzo che nel deserto vale come l’oro e che spetta di diritto a chi l’ha scavato. “Abramo riprese alcuni capi del gregge e degli armenti, li diede ad Abimelek e conclusero un’alleanza”. Poi mette da parte sette agnelle e le regala al re “a patto che “tu accetterai queste sette agnelle, come testimonianza che io ho scavato quel pozzo”. Abimelek le accetta e così Abramo diventa padrone del pozzo e lui dovrà pagare per l’uso dell’acqua. “Per questo quel luogo si chiamò Bersabea” (Gen 21,31); in ebraico il numero sette si dice “sheba” e pozzo si dice “beer”.

Può finalmente Abramo starsene un po’ tranquillo, dopo le litigate con la moglie e con le tribù vicine? Certamente no, perché nel prossimo capitolo dovrà affrontare una delle prove più difficili della sua lunga vita, in un episodio molto famoso e molto bello.

Buona Bibbia a tutti!

Enrico de Leon