Un’onda di sdegno e di profondo dolore collettivo per l’uccisione della giovane Giulia Cecchettin ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il dramma della violenza sulle donne e dei femminicidi.
Negli ultimi anni purtroppo i casi sono stati in netto aumento anche in Italia, nonostante l’inasprimento delle misure per contrastare il fenomeno, la mobilitazione e le precedenti campagne di sensibilizzazione.
Si è detto che la causa di questa violenza è il frutto del “patriarcato”, ma a ben vedere questa chiave di lettura non va al di là degli slogan e delle superficiali semplificazioni. La questione, come da tempo evidenziano autorevoli psicologi, affonda le radici nella crescente difficoltà di educare le giovani generazioni ad intrecciare relazioni costruttive ed equilibrate. Questa incapacità riguarda non solo la sfera affettiva e sessuale, ma il complesso delle relazioni tra persone e del vivere quotidiano. Da qualche decennio infatti si parla di “emergenza educativa” che tocca in modo trasversale diversi soggetti di riferimento: in primis la famiglia e poi la scuola, la cultura, i media, la politica, la chiesa, il mondo dello sport.
L’assioma per cui il “patriarcato” è retaggio della civiltà contadina è vento meno da tempo. Anzi sorprende il fatto che in Europa, ai primi posti di questa triste graduatoria della violenza sulle donne i dati statistici indichino le società “evolute”, i paesi nordici, la Germania, il Regno Unito. In effetti di “patriarchi” in giro se ne vedono pochi, ma non si vedono nemmeno padri.
Ciò che preoccupa è la crescente incapacità in tutti gli ambiti della vita di affrontare le delusioni, le frustrazioni e i propri limiti. La reazione spesso è un esasperato narcisismo che non di rado sfocia nella violenza.
“La psicologia ha preso una deriva volta solo a fare diagnosi, all'uso massiccio di psicofarmaci, che in alcuni casi sono anche utili - sottolinea Vittoria Lugli, psicoterapeuta sistemico/relazionale in un’intervista di Vatican News - Nella maggior parte dei casi sarebbe molto più utile invece fare anche un lavoro di addestramento, magari con una certa gradualità. Insegnare ai nostri bambini, ai nostri giovani, a vivere la frustrazione, saper dire anche dei “no”, aiutarli a vivere situazioni a difficoltà crescente, senza che ci sia sempre la presenza dei genitori o degli educatori. La realtà di oggi è difficile, ma i nostri giovani non sono abbastanza addestrati a queste sfide e dobbiamo tornare come educatori a aiutarli. Educare vuol dire tirare fuori, condurre per mano, ma li dobbiamo condurre a una crescita e ad una capacità di tollerare maggiormente le frustrazioni della vita”.
Per fermare la violenza sulle donne e i femminicidi la presa di coscienza e la mobilitazione servono, ma non bastano, come afferma anche una parte del movimento femminista.
La prof.ssa Francesca Izzo (una delle fondatrici del movimento “Se non ora quando?”), non ha partecipato alla grande manifestazione che si è svolta a Roma dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin, organizzata dal movimento transfemminista “Non una di meno” e in un’intervista al quotidiano Avvenire spiega perché: “È stata una scelta difficile, vissuta con rammarico, e motivata dal fatto che non condivido la piattaforma del movimento ‘Non una di meno’. Si è capito chiaramente che moltissimi di coloro che hanno aderito non l’avevano nemmeno letta. Per esempio il mancato riferimento ai pogrom del 7 ottobre e agli gli stupri di Hamas è espressione di un atteggiamento antifemminista, tanto più grave se si considera l’impegno delle femministe di tutto il mondo per considerare gli stupri di massa come crimini di guerra”.
Dopo l’uccisione di Giulia a Roma sono scesi in piazza in più di 500.000. “Questa tragedia si è trasformata in una mobilitazione collettiva che per la prima volta ha coinvolto anche tanti uomini – aggiunge Francesca Izzo - Un segnale di questo coinvolgimento per la verità c’era già da diverse settimane ed è il fatto che il film di Paola Cortellesi ‘C’è ancora domani’ è stato visto e apprezzato da moltissimi uomini. Ora ‘Non una di meno’ si intesta questo grande successo. Peccato però che in una manifestazione antiviolenza si siano registrati fatti decisamente violenti, come l’attacco alla sede di Pro Vita”.
Il movimento ha infatti orgogliosamente rivendicato il vandalismo e i danneggiamenti alla sede di Pro Vita, associazione antiabortista: “li abbiamo sanzionati”, ha fatto sapere via social ‘Non una di meno’ con toni che più che altro ricordano i metodi squadristi e i comunicati delle Brigate Rosse.
A.V.