- di don Alberto Vergnano -
I primi mesi del nuovo cammino delle comunità di Nichelino
sono stati, per tutti noi,
una continua occasione per affrontare situazioni nuove, per conoscerci un poco di più, per tentare di capire come affrontare le sfide che ci troviamo di fronte. A volte ci siamo trovati davanti a difficoltà di cui non abbiamo ancora «sbrogliato la matassa», a volte abbiamo avuto occasione di sperimentare una fraternità allargata.Al di là di tutto, penso che una delle vere sfide sia quella di mettersi in ascolto di quello che il Signore ci dice attraverso le mille situazioni che viviamo, cercando il «bandolo della matassa», il centro attorno a cui continuare a costruire vita. È un’operazione entusiasmante, ma spesso anche spiritualmente disarmante, perché non risponde ai nostri criteri di efficienza. Non dipende semplicemente dall’impegno o dalle capacità che abbiamo, ma risponde piuttosto alla logica dello Spirito che «soffia dove vuole».
Nei primi movimenti di questi mesi è capitato a diverse persone di trovarsi a partecipare ad iniziative e celebrazioni in una parrocchia diversa dalla propria. Qualcuno ha descritto queste esperienze usando la parola «ospitalità»: a volte per dire una difficoltà iniziale a cambiare abitudini (“quando mi sposto in un’altra chiesa, mi sento «ospite»” – indicando la difficoltà a sentirsi subito a casa); altre volte per sottolineare l’impegno ad essere «ospitale» quando vede qualche faccia nuova nella propria parrocchia, affinché il nuovo arrivato possa sentirsi a suo agio. In questo scambio di difficoltà e attenzioni, già si intuiscono spazi di creatività, per inventare qualcosa che possa far sentire tutti a casa. Il processo, per essere vero, richiede del tempo, così come la costruzione di ogni vera relazione.
La parola ospite in queste settimane mi ha accompagnato parecchio e ad un certo punto è finita anche nel campo della preghiera. E lì mi ha sorpreso: ci avviciniamo al Natale e cos’è questa festa se non quella di un ospite particolare che è venuto a prendere casa in mezzo a noi. Che strano gioco di ruoli, dove il Dio dell’universo si presenta povero e bambino e chiede di essere ospitato! Ma che genialità, quella di Dio, che obbliga tutti ad attivarsi per poterlo accogliere. Perché l’accoglienza, lo sappiamo bene, non è mai scontata. Se lo fosse non sarebbe più accoglienza. La vita ci insegna che certe accoglienze portano con sé la fatica di fare spazio, di adattarsi ai ritmi dell’altro, di accogliere la sua diversità, di raccogliere la sfida di una ricchezza che si svela nell’incontro. A volte accogliere significa prendere pugni nello stomaco e dover passare attraverso il terreno dell’incomprensione. Ma più guardi la storia del Figlio di Dio e più scopri che Lui ne ha vissuto tutte le tappe.
Contemplare il Dio che chiede di essere ospitato, ce ne fa cogliere la grandezza e ci rende creativi. C’è una pedagogia del vangelo che sembra suggerire che per ospitare, prima bisogna fare l’esperienza di essere ospitato (con il rischio di essere rifiutato); che per accogliere, prima devi metterti nella condizione di essere accolto (con il rischio che questo non avvenga); i discepoli prima di portare l’annuncio del vangelo in tutto il mondo, hanno dovuto imparare l’arte di bussare alle porte e di mangiare ciò che gli veniva offerto. È un processo ad alto rischio, che chiede di mettersi in gioco continuamente e di presentarsi disarmati agli altri.
L’Incarnazione del Signore è il rischio più grosso che Dio si è preso per noi. Ha rischiato tutto nell’attesa di un “sì” di una ragazza di Nazareth, ha rischiato di finire nel gioco dei potenti di turno e di venirne schiacciato. Non so se è azzardato, ma potremmo augurarci a vicenda un Natale rischioso! Augurarci che tutti possiamo sentire il coraggio di rischiare di presentarci semplicemente per ciò che siamo, fratelli e sorelle bisognosi gli uni degli altri; rischiare di poter dire agli altri “ho bisogno di te, della tua ospitalità”. Ho bisogno di sentirmi a casa, quando ogni tanto mi sento spaesato.
Correndo lo stesso rischio di Dio, ci auguriamo di poterne sperimentare anche la stessa creatività nel continuare a costruire il cammino delle nostre comunità!
A nome di don Davide, don Eduard, don Filippo e dei diaconi ci sentiamo di ringraziare tutti per l’accoglienza che stiamo sperimentando, per il desiderio di trovare modi nuovi di essere comunità, per la pazienza a vivere ciò che “…ancora non è troppo chiaro”.
Buon Natale a tutti!
Don Alberto Vergnano