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Dom, Dic
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Ti aspetto per un caffè - Di fronte a questa tempesta di odio

Società e cultura
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Quando da bambina sentivo il rombo di un aereo, alzavo gli occhi verso il cielo e mi divertivo a seguire con lo sguardo la sua scia che lentamente si disperdeva e si confondeva con le nuvole.

Ora è scoppiata la guerra sulla Striscia di Gaza tra Israele e Palestina e ricomincia un periodo buio per il Medio Oriente. Il mio pensiero va ai bambini, palestinesi e israeliani, vittime innocenti di questo nuovo conflitto. Non posso non pensare alla paura che provano ogni volta che sentono il rombo di un aereo.

Erano questi i pensieri, mentre sorseggiavo un caffè insieme a mio figlio che era passato a salutarmi e non ho potuto fare a meno di dire ad alta voce: “In questo momento nella Striscia di Gaza persone come noi, stremate dalla fame, subiscono un conflitto che non hanno voluto, isolati dal resto del mondo, in assenza di aiuti umanitari. Sono esseri umani che vivono tra le macerie sotto cui sono sepolti i loro cari, nel terrore di non vedere sorgere il sole domattina, con la minaccia imminente di morire intrappolati in quel carcere a cielo aperto dove sono nati e cresciuti senza la libertà di poter uscire. Mi spieghi il senso di tutto questo?”

Mio figlio mi ha guardato con tenerezza: “Cara mamma, i tuoi occhi non sanno mentire. Ho capito subito che eri turbata e non posso che darti ragione. Il conflitto Israele - Palestina è qualcosa di terribile non solo perché presenta toni di crudeltà efferata, ad ogni azione corrisponde sempre una reazione più violenta, ma anche perché si può assistere a un effetto domino, il conflitto può assumere dimensioni molto più ampie”.

Sembra quasi che la guerra non faccia più notizia, si passa con naturalezza da una guerra a un’altra. Solo ieri si parlava di Ucraina - Russia. La guerra alimenta l’odio nel mondo, spacca l’opinione pubblica, senza valutare minimamente il sangue degli innocenti versato in nome di una ragione di stato che non dà credito neanche alla richiesta delle Nazioni Unite di cessare il fuoco. Basta bombardamenti, bisogna mettere fine a questo inutile massacro”, ho commentato con un nodo alla gola

Sarebbe bello realizzare quello che tu dici - ha aggiunto mio figlio - ma la tua è una semplificazione che la logica di guerra non può accettare. Chiedere la fine dei bombardamenti su Gaza significherebbe essere a favore dell’uccisione dei civili israeliani o rendersi complici degli orrendi episodi antisemiti che si stanno verificando nel mondo. Ma ti do ragione sul fatto che si sta assistendo a un cortocircuito. L’odio per ogni forma di antisemitismo e di razzismo non significa rimanere indifferenti di fronte ai bombardamenti che hanno martoriato Gaza. Sono atroci i massacri subiti dai civili israeliani, ma altrettanto atroce la punizione collettiva a cui sono sottoposti i civili palestinesi: non ci sono morti di serie A e morti di serie B.

Forse quello che sto per dire ha il sapore dell’utopia, ma bisogna avere il coraggio di cambiare la modalità con cui affrontare le vicende nel mondo. Finché faremo il tifo per una parte o per l’altra, continueremo erroneamente a decidere quale massacro giustificare o condannare, magari sulla base di interessi commerciali o militari che poco hanno a che fare con gli ideali di pace e giustizia. Occorre spostare l’obiettivo sui popoli e sui loro bisogni (che non coincidono con i loro governi) e sulla necessità di imparare a convivere da uguali. È auspicabile creare una memoria collettiva in cui risulti chiaro che la guerra è sempre una sconfitta: non c’è chi vince e chi perde, in guerra perdono tutti”.

Sono rimasta ad ascoltare mio figlio in silenzio e poi gli ho detto “Voglio ringraziarti, ho imparato tanto dalle tue parole e alimenterò la speranza che la tua utopia diventi una realtà e che in un futuro, non troppo lontano, un bambino palestinese stringa la mano a un bambino israeliano e che nell’aria riecheggi la parola SHALOM”.

Nadia Santo