14
Dom, Dic
97 New Articles

Quei volti

Società e cultura
Typography
  • Smaller Small Medium Big Bigger
  • Default Helvetica Segoe Georgia Times

Il mio sguardo ha incrociato il suo, alla pari. Fiero sì, ma velato di malinconia, lo stesso sguardo di chi ha lasciato tutto

per cercare una vita da vivere lontano dalla terra degli avi, ed improvvisamente ha preso un nome, un volto. Serviva una guerra per accorgersi davvero che in mezzo a noi vivono persone (per lo più donne sole) arrivate in Italia per fare quei lavori che siamo restii a fare: badare ai nostri vecchi, fare le colf, prendersi cura dei bambini. Nel 1981 Baglioni scrisse un brano bello e commovente. “Ragazza dell’est”. “Le ho viste nelle sere quando son chiuse le fabbriche e le vie/ sulle labbra vaghi sorrisi di attesa e chissà che. / Scrivere sui vetri ghiacciati le loro fantasie/ povere belle donne innamorate d’amore e della vita/. Le ragazze dell’est.

Oggi quelle “ragazze dell’est” sono donne giovani che nei giorni di riposo vediamo camminare a gruppi o sedute su una panchina ricordare la Patria distrutta, gli amori infranti, le gioie perdute. Hanno un cuore sofferente ed un’anima ferita eppure difficilmente nell’incontrarle rivolgiamo loro il buon giorno anche se accarezzano il volto a qualche nostro vecchio concittadino aiutandolo a camminare sul viale.

Hanno un volto, un nome, una storia che vorrebbero raccontare a noi indifferenti ai loro disagi. Vivono la solitudine della distanza che è divenuta per gli psicologi studio e che titola:” sindrome Italia”. Lasciano gli affetti per garantire con i loro risparmi una vita migliore. Perdono i tempi della crescita dei loro figli e loro l’affetto della madre che consola incoraggia aiuta a crescere nel bene. “Io sono venuta in Italia per dare un futuro a mio figlio e forse lui è morto”, ha gridato al telefono una signora ucraina ad un’amica perché non riceve notizie dal figlio. Quel disperato pianto ricorda alle nostre coscienze come le “ucraine”, che talvolta chiamiamo in modo snob, abbiano gli anni delle nostre mamme o delle nostre nonne e in patria figli, mariti genitori nipoti. Sono qui da anni.

Riusciamo almeno ad immaginare cosa significhi lasciare i propri affetti a migliaia di chilometri di distanza per arrivare in un paese che ti accoglie, perché gli fai comodo?

Forse ora abbiamo scoperto che le “ucraine” sono persone in carne ed ossa come noi. Hanno paura come l’avremmo noi, se avessimo un aggressore che in casa nostra uccide, ruba, mente, fa del male senza freni morali e vuole imporci i suoi dettami con l’arroganza e l’atrocità della morte. Un giorno questo strazio e questo grande scempio finiranno, ma nessuno sa ancora dire quando. Non illudiamoci: quella in Ucraina è guerra fratricida e certe ferite si rimarginano, semmai, in decenni se non secoli. La tragedia di questa guerra assurda, che ha fatto ripiombare l’Europa indietro di 80 anni ci serva da lezione. Il mondo è più grande dei nostri vicoli e dei nostri bisogni. Ha i volti e i nomi anche di chi viene tra noi non per rubarci il lavoro, ma per cercare di vivere più dignitosamente. Non dimentichiamolo

Marcello Aguzzi