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Dom, Dic
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Questi adolescenti sempre più soli

Società e cultura
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È primavera: si avverte nell’aria, più “ friccicarella”, nelle gemme e nei fiori. Gli studenti della mia scuola

salutano l’arrivo della bella stagione con l’organizzazione della “cogestione”, ormai diventata una consuetudine. Per chi non lo sapesse la cogestione consiste nell’ interruzione della normale attività didattica e nell’ attivazione di laboratori, organizzati dai rappresentanti d’istituto, in cui vengono affrontatetematiche vicine agli interessi degli adolescenti. Il termine “cogestione” sta ad indicare che le varie attività avvengono sotto la supervisione dei docenti in servizio.

Quest’anno, nel mio ruolo di docente supervisore, sono stata abbinata al laboratorio dedicato al DCA, “disturbo del comportamento alimentare.” I disturbi del comportamento alimentare non sono legati a problemi di natura fisica, ma piuttosto mentale. Chi ne soffre con il cibo ha un rapporto di tipo distorto. Gradualmente il soggetto, di solito adolescente, rifiuta di consumare il cibo (anoressia nervosa) oppure si scatena in abbuffate seguite dal vomito indotto (bulimia nervosa).Le cause che scatenano questo tipo di disturbo possono essere molto diverse: un lutto in famiglia, la separazione dei genitori, alcuni casi di bullismo, modelli social da imitare.

Il laboratorio era tenuto da una ragazza esterna alla scuola, che in passato aveva sofferto di anoressia nervosa. Lei aveva superato la malattia, con grande fatica, e riteneva giusto condividere il suo percorso di malattia e di guarigione andando nelle scuole per parlarne con giovani adolescenti.

Il suo racconto era lucido e puntuale dal momento della scoperta della malattia, al ricovero in ospedale nel reparto di neuropsichiatria infantile presso l’ ospedale Regina Margherita di Torino, fino all’inserimento in una comunità diurna, per ritrovare un legame con la realtà.

Le parole di questa ragazza lasciavano trasparire un profondo senso di solitudine, si era sentita sola con la sua malattia, con quella vocina nella testa che ogni giorno le imponeva di non consumare cibo, forte di quel controllo sul corpo che intanto diventava sempre più debole. Alla solitudine era poi subentrata la paura, la paura di fare le cose più normali: alzarsi al mattino, farsi la doccia e guardarsi allo specchio, uscire con i suoi coetanei. Nonostante la sua giovane età aveva il coraggio di andare incontro alla morte, senza battere ciglio. La sua fissazione era calcolare le calorie del poco cibo consumato e smaltire facendo attività fisica. Poi in ospedale era successo il miracolo, dopo i primi insuccessi uno psichiatria aveva trovato le parole giuste per scuoterla e per farle capire che nessuno poteva obbligarla a vivere, se lei in prima persona non lo avesse desiderato. Mentre lei parlava io continuavo a chiedermi: ma i genitori dov’erano? E gli insegnanti della scuola che frequentava? Quanto siamo insensibili noi adulti?

Ascoltare questa storia mi ha fatto molto riflettere sul mio ruolo di madre e di docente. Gli adolescenti, i nostri figli, hanno difficoltà a comunicare con i genitori, a raccontare agli insegnanti, con i quali trascorrono tante ore, il loro disagio nell’affrontare le difficoltà, nell’intraprendere relazioni. Preferiscono chiudersi nei loro silenzi, a volte arrivano anche a comportamenti di autolesionismo.

Mentre bevevo il caffè, questa volta volutamente da sola, mi sono riproposta di mettere maggiore attenzione nel cogliere le richieste d’aiuto dei miei studenti, a volte nascoste dietro frasi sgarbate, o di scorgere negli occhi tristi di mio figlio i suoi bisogni celati dietro una bugia.

In fondo i nostri figli, i nostri giovani nonostante non vogliano ammetterlo hanno un grande bisogno di essere riconosciuti, di essere amati e noi non dobbiamo mai giudicarli .

Solo così non avranno più paura di chiedere aiuto e insieme si diventa “due gocce che salvano il mondo dalle nuvole”, come canta Mr. Rain in Supereroi.

Nadia Santo