Se c’è una cosa che accomuna gli uomini di ogni parte del mondo è l’odio verso le tasse!
Pensate alle nostre reazioni quando nella buca delle lettere troviamo una raccomandata dell’Agenzia delle Entrate…
Anche al tempo di Gesù l’odio e il disprezzo verso i funzionari che riscuotevano i vari balzelli erano palpabili. “Pubblicani e prostitute” (Mt. 21,31) erano accoppiati come professioni da biasimare. Israele allora dipendeva da tre giurisdizioni politiche diverse: il procuratore romano cioè Pilato, Erode Antipa al sud ed Erode Filippo al nord. A queste tre giurisdizioni corrispondevano tre distretti doganali che riscuotevano le tasse tramite funzionari, chiamati “pubblicani” che giravano per città e villaggi a chiedere tributi. I più odiati erano coloro che lavoravano per la potenza occupante, cioè Roma (…anche allora si gridava Roma ladrona!) come nel caso di Zaccheo.
Crea quindi scompiglio il gesto di Gesù. “Andando via da Cafarnao vide un uomo chiamato Matteo seduto al banco delle imposte e gli disse seguimi. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt. 1,9). Questo episodio è ricordato anche negli altri vangeli anche se Marco cambia il nome del discepolo pubblicano. “Passando vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte…” (Mc. 2,14). Ma, come se non bastasse questo gesto, lo scandalo che dà Gesù si accresce: “Poi Levi preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e peccatori che erano con loro a tavola. I farisei e gli scribi mormoravano e dicevano ai discepoli di Gesù ‘come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?’ Gesù rispose loro ‘non sono i giusti che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché si convertano”. (Lc. 5, 29-32)
Questo pubblicano, così inviso ai concittadini, sarà uno dei Dodici: Marco e Luca lo collocano al settimo posto, mentre il suo vangelo e gli Atti degli Apostoli all’ottavo. Oltre a comparire nelle liste, il Nuovo Testamento non parla più di lui, non se ne sa più niente. L’evangelista ha un doppio nome: Matteo (in aramaico Mattaj e in ebraico Mattanjah), cioè “dono di Dio” ì, e Levi che significa “unto”. Alcuni propongono che Levi sia la tribù a cui appartiene Matteo, cioè quella dei sacerdoti.
Matteo ci regala il primo vangelo, secondo l’ordine dato dalla tradizione, scritto tra il 70 e l’80 dopo Cristo, “per i fedeli venuti dal giudaismo” (Origene) probabilmente in Siria, forse ad Antiochia (così scrive Ignazio), mentre secondo un libro apocrifo del sesto secolo il Vangelo di Matteo viene ritrovato sulla tomba del missionario amico di Paolo Barnaba a Cipro.
La tradizione della Chiesa, in particolare Eusebio, dice che dopo la Pentecoste Matteo predicò agli ebrei di Palestina e poi si recò presso altre genti: qualcuno dice in Etiopia. La “Legenda Aurea” (del 13° secolo) lo racconta mentre sconfigge alcuni maghi del posto, mentre resuscita il figlio del re d’Etiopia e mentre muore martire di spada. Alcuni stori della Chiesa dicono che andò invece a predicare in Persia, in Siria, in Macedonia, persino in Irlanda, e che non subì il martirio. La sua tomba si troverebbe, a partire dal decimo secolo, qui in Italia a Salerno.
Al nostro evangelista viene anche attribuito un testo apocrifo “sulla nascita della beata Maria e sull’infanzia del Salvatore, scritto in ebraico dal beato evangelista e tradotto in latino dal beato presbitero Gerolamo”, questo è il suo incipit. Il libro è conosciuto anche con il nome del vangelo dello pseudo Matteo ed è stato probabilmente scritto intorno al nono secolo ispirandosi a precedenti libri sull’infanzia di Gesù. È proprio grazie a questi testi che conosciamo il nome dei nonni di Gesù, Gioachino e Anna, che sappiamo come Giuseppe conobbe e sposò Maria e la vita della sacra famiglia in Egitto.
In un altro testo apocrifo “dormizione della santa madre di Dio” (5° secolo) si dice che Maria sta morendo e tutti gli apostoli sono lontani ad evangelizzare, ma lei li vorrebbe vicino a sé. Allora per avvenimenti miracolosi i missionari si ritrovano al capezzale di Maria, rispose anche Matteo dicendo “io ero su una nave in mezzo alla tempesta… all’improvviso una nube di luce si è stesa sopra l’impeto della tempesta, placò la distesa del mare e sollevandomi mi depose presso di voi” (cap. 23).
Parla di Matteo, anche un altro apocrifo “il vangelo di Tommaso” (del secondo secolo) che raccoglie alcuni “loghia” cioè parole, discorsi e frasi importanti di Gesù.
Questo è ciò che sappiamo del nostro pubblicano, esattore di tasse corrotto e ladro, come il suo collega Zaccheo, che folgorato da Gesù “lasciò tutto e lo seguì”, divenne apostolo e poi evangelista. La Chiesa latina lo festeggia il 21 settembre, mentre gli ortodossi il 16 novembre. È patrono della città di Salerno… e anche di Nichelino. Come per gli altri evangelisti anche a Matteo viene assegnato un simbolo che richiama le visioni di Ezechiele e l’Apocalisse cioè un uomo con le ali o un angelo e così è spesso raffigurato nei quadri che lo ricordano.
Enrico de Leon