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Dom, Dic
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Sul Gran Muftì calò il silenzio

Società e cultura
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C’è da chiedersi come mai in questi decenni, nell’analisi delle cause di quella tempesta di odio antiebraico che portò alla shoah, si sia parlato così poco
della collaborazione intercorsa tra Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al Husseini, maggior autorità spirituale dei mussulmani palestinesi.

Eppure tra i due la condivisione dei programmi antisemiti fu profonda e ampiamente documentata, così come la volontà distruttiva nei confronti dei sistemi democratici.

Di recente è stato ritrovato negli archivi un telegramma spedito a Husseini il 2 novembre 1943 dal capo delle SS Heinrich Himmler in occasione del ventiseiesimo anniversario della Dichiarazione di Balfour in cui il governo britannico si era pronunciato a favore della creazione di un "focolare ebraico" in Palestina. In tale circostanza Himmler ricordava al Grand Muftì di Gerusalemme che la Germania era stata“strenua sostenitrice” della lotta“degli arabi in cerca di libertà, in particolare in Palestina, contro gli ebrei invasori”. Questo telegramma non è che un altro tassello di una copiosa documentazione che attesta consolidati rapporti, in funzione del raggiungimento di un comune obbiettivo, tra Amin al Husseini e il regime nazista.

All’ascesa al potere di Hitler in Germania il Grand Muftì, entusiasta della dura repressione antiebraica scatenata dal fuhrer, intravide "l'avvento di una nuova era di libertà per i mussulmani di tutto il mondo" e prese subito contatti con il console tedesco di Palestina per chiedere "fino a che punto il Terzo Reich fosse disposto a sostenere il movimento arabo contro gli ebrei”.

Costretto a nascondersi (la Palestina era sotto il controllo degli inglesi), Husseini ottenne la protezione dei servizi segreti tedeschi, oltre a denaro e armi per combattere contro il "demone sionista" e “cooperare per il trionfo di una giusta causa".

Dopo l’invasione tedesca della Polonia il Grand Muftì dichiarò pubblicamente il proprio sostegno al "meritevole e coraggioso condottiero Adolf Hitler" ed esortò "i mussulmani a prendere le armi a fianco della Germania nazista" lanciando via radio la jihad contro l'Inghilterra.

Nel novembre 1941 il Muftì giunse a Berlino, accolto da Eichmann e dal ministro del Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, e incontrò Adolf Hitler. Nei mesi successivi si diede un gran da fare per organizzare la Legione Araba destinata ad operare accanto alle forze militari dell’Asse. Nell’estate del 1943, durante un'adunata nazista a Berlino, il Muftì fu ancora più esplicito: “oggi sappiamo come rimettere le cose al loro giusto posto e, soprattutto, oggi siamo tecnicamente in grado di eliminare dalla faccia della terra tutti gli israeliti". Imperterrito, continuò nella sua chiamata alle armi anche dopo che le divisioni corazzate di Rommel erano state costrette ad abbandonare il Nordafrica. "Arabi! Alzatevi come un solo uomo e combattete per i vostri sacrosanti diritti. Uccidete gli ebrei dovunque li troviate. Ammazzate, e farete cosa gradita da Allah", proclamò in un appello radiofonico del 1944.

Catturato in Germania dagli americani nella primavera del 1945, venne rinchiuso in un carcere francese dal quale evase l’anno dopo. Trovò rifugio in Libano dove morì nel 1974.

Le cose andarono diversamente da come avevano prefigurato Hitler e il Grand Muftì di Gerusalemme. La tragedia della shoah fu uno dei motivi – forse quello determinante - per cui alla fine della guerra le Nazioni Unite si pronunciarono a favore della creazione dello Stato ebraico di Israele.

cfl