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Dom, Dic
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Un'altra estate da incubo

Etica
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Difficile dimenticare quel volto sporco di sangue e fango, quello sguardo perso e sbigottito, spaventato, con quegli occhi che hanno “forato il video”, come dicono gli addetti ai lavori dei media televisivi.
Omran, il bambino siriano salvato e catapultato su un’ambulanza ci ha sbattuto diritto nello stomaco l’orrore della guerra. Quel bambino solo nella polvere e nell’angoscia, quel bambino che in quel bombardamento di Aleppo ha perso il fratellino è però solo l’ultimo innocente coinvolto suo malgrado nella cieca follia guerriera dei “grandi” della Terra. L’ennesimo orrore di questo nuovo secolo segnato da tragedie e violenze inaudite. «È inaccettabile che tante persone inermi, anche tanti bambini, debbano pagare il prezzo del conflitto, il prezzo della chiusura di cuore e della mancanza di volontà di pace dei potenti». Parole inascoltate, quelle di Papa Francesco. Come sempre, più di sempre, verrebbe da dire.

Il disastro siriano dura dal 2011. Cinque anni di barbarie senza fine. Proprio Aleppo è diventata il simbolo di questa guerra assurda. Aleppo è una tra le città più antiche del mondo: prima del conflitto aveva quasi due milioni di abitanti, era una città cosmopolita, multietnica e multi religiosa. Non rimarrà più niente di tutto ciò, purtroppo. Sui cieli siriani volano aerei da guerra russi, americani, francesi, governativi, dei ribelli e tutti giù a scaricare bombe: tutti così impegnati a seminare morte che per mesi non c’è stato il tempo di concedere una tregua umanitaria di 48 ore che desse un po’ di fiato alla popolazione rimasta.

«Sono 5 anni, ormai, che siamo sottoposti a continue ondate di violenza – spiegava qualche giorno fa all’agenzia Sir il francescano padre Ibrahim Alsabagh, parroco ad Aleppo della cattedrale latina di San Francesco – dopo ogni ondata il popolo riprendeva fiato e speranza in un futuro migliore di pace, di convivenza. Per poi ricadere nello sconforto. Ma nell’ultimo periodo, a causa degli scontri tra esercito regolare e milizie armate, stiamo subendo un’ondata di morte, la peggiore mai vista. In città la gente è martoriata. Le famiglie – racconta padre Ibrahim – soffrono nell’animo, per la paura dei bombardamenti, delle malattie, dei traumi psicologici, del male prodotto ai loro bambini. Soffrono nel corpo perché hanno grandi difficoltà economiche. Manca tutto: acqua, luce, medicine, viveri. Manca il lavoro per guadagnare quel poco di pane necessario a sopravvivere. È una sofferenza continua quella che vivono le famiglie di Aleppo. Che oggi è come le città distrutte della Seconda Guerra Mondiale, o di epoche più recenti, come Sarajevo. Non credo che si sia mai vista una simile quantità e qualità di violenza come quella che sta distruggendo la Siria, e Aleppo in particolare. E non è ancora finita».
Che succede in Siria?” Andrea Ricciardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, in un’editoriale su Famiglia Cristiana delinea il quadro: “Un intero Paese muore in una guerra senza quartiere. È tristemente semplice. Sul terreno, invece, tutto è complicato: guerra tra le forze del presidente Assad (appoggiate dai russi), l’Isis, i curdo-arabi (appoggiati dagli americani), Al Nusra, un tempo affiliata ad Al Qaeda e altri attori armati. Le guerre s’intrecciano. La gente non sa dove andare. Ci sono quasi cinque milioni di rifugiati all’estero. Più di 600 mila sfollati si addensano verso la frontiera giordana. Il conteggio dei morti, civili e combattenti, è difficile. Forse mezzo milione. Le immagini di Aleppo mostrano palazzi sventrati. Un giovane di quella città ha dichiarato: ‘L’umanità è finita ad Aleppo’. Gli ospedali bombardati. I bambini uccisi. Forse, tra non molto, ci sarà un nuovo giro di negoziati a Ginevra (il terzo). Non basta un comunicato. Il tempo passa: morti, istruzioni, dolore, profughi. C’è bisogno di compromesso tra posizioni irriducibili. Solo gli americani e i russi possono trovarlo. Poi resta la lotta all’Isis. Ci sono parti del Paese dove per fortuna non si combatte: qui il controllo degli uni e degli altri è assodato. Soprattutto, nel dolore, è maturata una larga volontà di pace della gran parte dei siriani”.


Riuscirà ad emergere?