- di don Gianfranco Sivera -
In una calda domenica d’estate mi muovevo in una Torino quasi deserta.
Poche persone camminavano per strada e forse anche per questo l’occhio mi è caduto – mentre il semaforo era rosso – su un uomo di mezz’età che cercava affannosamente tra i rifiuti qualcosa da riciclare. Un’immagine durata il tempo di un semaforo che da rosso diventa verde, ma che continua a vivere in me alimentando diverse domande. Oggi le differenze sono sempre più marcate: negozi con prezzi stellari, a dire di un mondo che si può permettere oggetti di lusso, e uomini che cercano tra i rifiuti qualcosa per vivere.
Le nostre comunità si muovono in questo contesto, fatto sempre più di disuguaglianza tra chi può permettersi anche il superfluo e chi è privo dell’essenziale.
Ci voleva Thomas Piketty a farci realizzare che i ricchi diventano sempre più ricchi e che le disuguaglianze sociali stanno aumentando? L’exploit di questo giovane economista francese ha messo sotto i riflettori un’evidenza inconfutabile. Nel suo best seller, dal titolo L’economia nel XXI secolo, spiega che – indipendentemente dal fatto che ci sia o no una congiuntura economica sfavorevole – solo chi possiede ricchezze (immobiliari e finanziarie), potendole investire nelle forme di volta in volta ritenute più redditizie, incrementa il proprio patrimonio. In altre parole, una normale entrata permette di vivere (o sopravvivere in molti casi), la ricchezza consente di fare operazioni che portano altra ricchezza.
Ineluttabilmente la ricchezza si accumula solo nelle tasche di pochi, a discapito di tutti gli altri, che sono sempre di più e stanno sempre peggio.
Ad alimentare questo stato di cose gioca un ruolo fondamentale l’iperbolica disoccupazione giovanile (45 per cento) e il precariato a cui sono sottoposti anche gran parte dei padri e delle madri di famiglia.
Il problema del lavoro non è secondario!
Ne parliamo da anni, ma è necessario continuare a pensare a soluzioni, in quanto la situazione più passa il tempo e più diviene grave.
Come Chiesa cosa siamo chiamati a fare in questo tempo?
Esistono già risposte in atto, frutto della fantasia dei nostri territori e grazie alla collaborazione tra pubblico e privato, tra imprenditori illuminati e coscienziosi e saggi amministratori.
Serve però uno sforzo ulteriore.
Per quanto sia empiricamente inconfutabile il fatto che pochi ricchi siano sempre più ricchi, l’idea di non poterci fare nulla è frustrante. Ma non è neanche poi così vera.
“La crescita delle diseguaglianze e della povertà mette a rischio la democrazia - è Papa Francesco a lanciare questo allarme - La democrazia, inclusiva e partecipativa presuppone sempre un’economia e un mercato che non escludono e che siano equi”.
Serve virare verso il cosiddetto welfare generativo, cioè un sistema che orienta i circa 51miliardi di euro destinati in varie forme all’assistenza sociale “passiva” verso soluzioni che generano nuove risorse, che responsabilizzano i destinatari, che danno loro dignità e che producono qualcosa di utile e fruttuoso per il Paese. È un modello, questo, che sostituisce il sussidio con lo stipendio, la spesa con l’investimento, il mezzo con la persona.
E’ anche necessario accompagnare le persone impegnate in politica e nel sociale, facendo in modo che non si sentano sole e al contempo urge la formazione di giovani, allo scopo di preparare persone in grado di assumersi la responsabilità di amministrare il bene comune, senza secondi fini. Ogni volta che incontro dei giovani ne esco ottimista perché vi scorgo non solo le paure, ma anche la voglia di futuro e il desiderio di spendersi per qualcosa di grande.
Certo, a volte il problema è la qualità delle nostre proposte, l’incapacità d’intercettare le domande delle nuove generazioni, il ripetere senza entusiasmo modelli vecchi e forse superati.
Il tempo estivo che si affaccia ai nostri orizzonti sia occasione per riposarsi, ma anche per pregare, leggere, studiare e pensare. Servono idee nuove per affrontare con intelligenza le sfide che questo tempo pone alla Chiesa e alla società.
L’estate ha il vantaggio di portare del tempo propizio per fermarsi e chiedersi: cosa è essenziale alla mia vita e a quella degli altri?
Qualcuno cerca tra i rifiuti, noi dobbiamo cercare quelli che si sentono rifiutati, perché espulsi dal lavoro o sfrattati dalla casa in cui vivevano, per mostrare loro che ogni uomo vale in quanto creato da quel Dio che desidera che tutti siano felici.
Solo un lavoro compiuto con umiltà e senza smanie di protagonismo porterà i frutti di quel nuovo umanesimo di cui la Chiesa italiana si va interrogando.
Don Gian Franco Sivera
Parroco Madonna della Fiducia e San Damiano