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Dom, Dic
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Non per favore, ma per diritto

Etica
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 «Non ci sono soldi»: è la frase che molte famiglie si sentono dire quando chiedono assistenza per un parente non autosufficiente.

È diventata una risposta automatica, in bocca anche a funzionari e operatori, spesso rassegnati a una logica perversa e autolesionistica che nega i propri diritti, accettata anche da tanti cittadini.  

Eppure è una risposta sbagliata. Perché la legge prevede che diverse prestazioni – sanitarie e socio-sanitarie – siano obbligatorie e quindi non possano essere negate per presunta mancanza di fondi. 

La Corte costituzionale è stata più volte chiara: i diritti fondamentali, come quello alla salute, non possono essere compressi per ragioni di bilancio. In particolare le prestazioni sanitarie di "livello essenziale", comprese quelle socio-sanitarie per le persone malate o con disabilità non autosufficienti, rientrano nei cosiddetti Lea (Livelli essenziali di assistenza) e devono pertanto essere garantite. Ovvero, non è il bilancio a condizionare il diritto, ma è il diritto che impone allo Stato di trovare e allocare i fondi. 

Le cure di lungo termine (LTC) per chi non è autosufficiente non sono un favore, ma un dovere dello Stato e delle Regioni per mezzo delle Asl. Sono prestazioni di livello essenziale e, come tali, sono obbligatorie, non discrezionali. Le risorse devono essere trovate, anche perché queste cure le abbiamo già pagate con le tasse, Irpef, Irap, ecc.  Quando le famiglie sono costrette a rivolgersi al privato, stanno di fatto pagando due volte per lo stesso servizio. 

In Piemonte, peraltro – da calcoli effettuati dalla Fondazione promozione sociale onlus/ets - basterebbe il 5% del bilancio sanitario regionale per coprire tutte le quote sanitarie delle RSA (Residenze sanitarie assistenziali) accreditate ed eliminare le liste di "abbandono" di migliaia di anziani malati non autosufficienti che oggi pagano una retta privatamente che si aggira sui 3.500 euro al mese. Il 5% è davvero poco, considerando che parliamo di quella che è stata definita "l'emergenza sanitaria e sociale del secolo" ovvero la non autosufficienza degli anziani. 

Il problema, dunque, non è economico, ma soprattutto culturale: si continua a considerare le persone non autosufficienti come meno "degne" di cura. Come fossero uno "scarto" di una società che privilegia la produttività e l'efficienza, anziché riconoscersi luogo di convivenza e cooperazione tra esseri con pari dignità e diritti. In questa logica distorta i più deboli e improduttivi finiscono per essere emarginati, quando invece dovrebbero essere maggiormente tutelati. 

Il pericolo oggi è che leggi come la tanto sbandierata legge 33/2023 sulla "non autosufficienza" intervengano per scardinare i diritti esistenti, facendo scivolare la competenza al comparto assistenziale dove – lì sì - i diritti sono condizionati. Invece serve chiarezza: se si parla di Sanità, le prestazioni devono essere garantite, i fondi devono esserci e le persone devono ricevere ciò che la legge prevede. 

Dunque, dire «non ci sono soldi» per curare un malato cronico non autosufficiente non è solo falso, è illegittimo. Lo Stato e le Regioni non possono scegliere se garantire o meno un "Livello essenziale": lo devono fare. È tempo che i cittadini lo sappiano e lo pretendano. 

Utim Nichelino