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Dom, Dic
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Non abbiamo inventato nulla

Etica
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Abbiamo assistito in queste settimane all'ennesimo “scontro” tra Potere Giudiziario ed Esecutivo/Legislativo.

Ancora una volta “casus belli” è stata l'annosa questione legata ai flussi migratori, diventata “la necessaria difesa dei confini della Repubblica”.

Per puro caso si sono accavallati il processo all' ex Ministro degli Interni all'epoca del governo Conte, per l'impedito sbarco dei migranti dalla nave Open Arms, ed il primo provvedimento di traduzione di “migranti illegali” nei centri di Accoglienza temporanea in Albania.

Ma è su questo secondo punto che penso valga la pena soffermarsi, non per disquisire sugli aspetti giuridici, che non sarei obiettivamente in grado di sostenere, ma perché “simpatizzante” per vocazione con chi ha definito tutto l'insieme sul quale si fonda il “patto sui migranti tra Italia ed Albania” .... “disgustoso” (Marco Revelli, giornalista e Politologo).

È stata, abbiamo visto, una falsa partenza...forse prevedibile: la Magistratura di Roma, competente in merito, non ha convalidato il procedimento perché in conflitto con la normativa europea sulle migrazioni. Così i primi 16 richiedenti asilo sono stati riportati in Italia: imbarazzante per chi ha architettato l'impianto di trasferimento.

Ha scritto sull'Avvenire Maurizio Ambrosini; “è un duro colpo per l’ambizione di aprire la strada a una nuova politica europea di restrizione del diritto di asilo, che aveva riscosso anche qualche interesse a Bruxelles e in altre capitali europee. Un interesse che ora appare per quel che era: imprudente, prematuro, dettato dal desiderio d'inseguire un facile consenso a spese di profughi inermi”.

Ecco, meno male che spazio e voce vengono anche dati a chi si oppone al venir meno di quello che resta dello spirito umanitario che dovrebbe contraddistinguere i “sapiens”. Quello che resta, sì perché - a dispetto del tanto sbandierato “modello italiano” - poco c'è di originale in questa idea fondata sull'allontanare il più possibile l'indesiderato, l'illegale. Tra l’altro anche in merito a questo ci sarebbero da mettere in discussione i criteri che definiscono questa illegalità.

Tale misura era stata già messa in atto dal Regno Unito per esempio.

In tempi passati per il non originale “modello Albania” dobbiamo risalire alla fine del XVIII secolo, quando le autorità del Regno Unito si trovarono di fronte a un urgente problema: la saturazione delle carceri. Il rigoroso sistema di giustizia britannico sanzionava con dure reclusioni anche i più piccoli furti, quindi ogni anno il numero dei reclusi cresceva di migliaia di unità.

In questa situazione, dopo un tentativo fallito nelle terre dell’Africa occidentale, il gabinetto del primo ministro lord North prese in considerazione una terra di deportazione alternativa: l’Australia.

Nel maggio del 1787 salpò da Londra alla volta di Botany Bay (Sydney) quella che fu chiamata «la prima flotta»: sei delle sue undici navi erano colme di detenuti.

Sarebbe interessante approfondire la “natura” di questi detenuti e le dinamiche sociali, morali, insorte: vagabondi, ladruncoli, oppositori al regime, prostitute, minori di età (i bambini erano perseguibili dai 9 anni) si mescolavano agli assassini. Per la donna non avvezza al “mestiere più antico del mondo” diventava un passo inevitabile diventarlo per sopravvivere alle insidie della convivenza forzata in una traversata che durava sino ad otto mesi… come già scriveva quasi mezzo secolo fa Bill Beatty in “Australia colonia infame” ed. Longanesi, ma numerosi sono i testi, facilmente reperibili in rete, che raccontano questa vicenda.

È storia...ma a discapito del suo “magistero” – e questo abbiamo già avuto modo di sottolinearlo in altre occasioni – la storia alla vita non ha insegnato nulla.

Lo rifacciamo!

Noi, Europa, culla della democrazia, difensori della libertà e dei principi di uguaglianza, uomini e donne, abdichiamo di fronte alla paura che ci venga sottratto in qualche modo il nostro benessere, che venga turbata la nostra tranquillità, ci venga rubato il lavoro: meglio allontanare il “pericolo”, meglio non vedere, non sapere cosa succede.

Il Regno Unito ci ha riprovato nuovamente di recente cercando disperatamente di mantenere in vita il progetto Ruanda (nato da un accordo tra Boris Johnson ed il governo del Ruanda nel 2022) che prevede la deportazione dei migranti nel paese africano) con una legge approvata dal Parlamento nell’aprile 2024 (Primo Ministro Sunak), che sancisce - tra l’altro - l’uscita del Regno Unito dai trattati che regolano i diritti dei migranti.

Questa legge dovrebbe avere vita breve: il governo lo scorso luglio è passato nelle mani del Partito laburista e uno dei primi atti del nuovo primo ministro Keir Starmer (così almeno ha affermato) sarà quello di cancellare la legge da poco approvata, ritenuta “sbagliata e immorale”.

Ma da noi no. Non succederà: è già pronto il decreto per “bypassare” il problema magistratura. “È molto difficile lavorare e cercare di dare risposte a questa nazione…”, convinti forse che la deportazione a centinaia o migliaia di chilometri dall’approdo agognato rappresenti un potente effetto di deterrenza.

Meglio (si fa per dire) fa Israele. La notizia è comparsa fugacemente nei giorni scorsi. L’esercito israeliano a corto di uomini sta arruolando richiedenti asilo (soprattutto africani) per mandarli a combattere a Gaza, promettendo una futura regolarizzazione... (ANSA del 17/10).

Lo chiediamo nuovamente: qual è “l'ultimo prezzo” per questa umanità in fuga?

Davvero basta “non vedere, non sapere, girare il capo ed alzare muri” per tranquillizzare la nostra coscienza, per rasserenare il nostro quotidiano?

Umberto Escoffier