14
Dom, Dic
97 New Articles

Esportiamo armi

Etica
Typography
  • Smaller Small Medium Big Bigger
  • Default Helvetica Segoe Georgia Times
“Io inviterei i fabbricanti e i trafficanti di armi a passare una giornata in un campo profughi, credo che per loro sarebbe salutare”, ha detto Papa Francesco di ritorno dalla sua visita all’isola di Lesbo.


“Dio converta i trafficanti d’armi!”, è la preghiera che incessantemente rivolge insieme a parole forti per condannare l’industria delle armi e una certa ipocrisia: “Ci sono alcuni benefattori della Chiesa che vengono con l’offerta, e questa è il frutto del sangue di tanta gente sfruttata, maltrattata, schiavizzata. Io dirò a questa gente: per favore, portati dietro il tuo assegno, brucialo!”.

In un’omelia pronunciata a Santa Marta il Papa aveva di nuovo puntato dritto verso “gli uomini della morte” . Migliaia di bambini affamati restano per lunghissimo tempo nei campi profughi, “mentre i fabbricanti d’armi fanno festa nei salotti”. E ha aggiunto: “Voi pensate che i corrotti, o quanti fanno la tratta delle persone umane o i fabbricanti di armi sono davvero felici? Non lo sono e sappiano che nell’aldilà dovranno rendere conto a Dio del male compiuto. Dall’altra parte non porteranno con sé né soldi, né potere, né orgoglio”.


ARMI “LEGGERE”
Nella sua instancabile lotta contro le guerre Papa Bergoglio ricorda al mondo intero quali sono i meccanismi del mercato delle armi e il loro impatto sui conflitti che insanguinano il mondo. Richiama l’attenzione anche sulle cosiddette armi leggere, cioè quelle trasportabili da un essere umano e quindi immediatamente disponibili. Pistole e fucili sono le armi più usate da gruppi armati di varia natura e da organizzazioni criminali.

Secondo i dati ufficiali a livello globale il commercio di armi leggere è in costante aumento. Nel periodo 2000-2013, la leadership nelle esportazioni di armi leggere è stata di Italia e Stati Uniti, seguiti da Francia e Germania.
E’ questo mercato ad alimentare i sanguinosi conflitti in corso nell’Africa sub-sahariana e in Medio Oriente. Caratteristiche delle armi leggere sono la loro durata e la facilità di conservazione. Non stupisce che negli scenari di guerra si ritrovino in uso armi e munizioni prodotte molti anni addietro. In Afghanistan e Iraq sono stati rinvenuti fucili e pistole di produzione sovietica e americana costruiti negli anni ‘50. Al termine di ogni conflitto la domanda di armi nei paesi coinvolti diminuisce, creando un mercato dell’usato a prezzi bassi per nuovi acquirenti vicini e lontani. “Un esempio evidente in questo senso è stato la fine della Guerra Fredda – si legge in uno studio pubblicato dal quotidiano Avvenire - All’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’offerta di armi leggere aumentò vertiginosamente poiché furono rese disponibili improvvisamente sul mercato ingenti quantità che hanno fatto diminuire in maniera drastica il prezzo. Gruppi armati non statali e organizzazioni criminali hanno avuto gioco facile nell’approvvigionarsene. Per far diminuire la violenza dei nostri giorni, ma anche di quelli futuri, è dunque necessario limitare in maniera significativa l’offerta di armi leggere. Ma questo non basta. È giunto il momento di interrogarsi sull’opportunità di creare e finanziare meccanismi e incentivi efficaci per ritirare e poi distruggere le armi leggere esistenti, in particolare in quei Paesi in cui la violenza costituisce una piaga dilagante e contagiosa”.

Il giorno dopo l’attentato di Parigi, il valore delle azioni delle aziende produttrici di armi è salito fino a tre punti percentuali; dal 2001 ad oggi la spesa militare mondiale è aumentata del 50% . “Mentre Hollande giura vendetta e guerra all’Isis – ha scritto L’Espresso - aziende come la Raytheon Company, Northnop Grumman Corporation, Lockheel Martin Corporation, General Dynamics, Booz Allen Hamilton Holding vedono lievitare il valore delle loro azioni”. Queste sono tra le più importati aziende di produzione attive nel campo aereospaziale e nella difesa: in parole povere producono armi. E per il profitto non si guarda in faccia a nessuno, tanto meno ai diritti e le sofferenze delle persone: tutto è business.



TRE DOMANDE IN PARLAMENTO
Per ricordare Chiara Lubich, fondatrice dei Movimento dei Focolari, in Parlamento si è svolto il mese scorso il convegno La fraternità universale in cammino: il disarmo possibile” su temi scottanti di attualità come l'incontro tra persone di culture e religioni diverse e il possibile dialogo tra cristiani e musulmani, le incongruenze esistenti in materia di armamenti con il nostro Paese che è leader nelle esportazioni di armi, pur avendo una legislazione che non lo consente.

“Siamo stati nella sala dei gruppi parlamentari della Camera dei Deputati con oltre 200 giovani – riportano Andrea Goller e Rosalba Polidi su Città Nuova - che hanno interrogato il mondo politico sulle cause delle guerre. Intervenendo al dibattito avviato dai giovani, alcuni parlamentari, pur apprezzando bonariamente le intenzioni e le finalità della giornata, hanno invitato a rifarsi al ‘principio di realtà’, vincolante per le scelte decisive in politica.
Crediamo invece che queste domande – che facciamo nostre - vadano prese seriamente, proprio a partire dalla realtà attuale.

1. Come mai micidiali bombe partono periodicamente dal nostro territorio (Sardegna) per essere esportate in Arabia Saudita (la cui aviazione il 15 marzo ha bombardato lo Yemen uccidendo oltre 60 civili) in violazione della legge 185/90?
2. Come mai Finmeccanica (controllata per il 30% dal ministero dell’Economia e finanza) sta cedendo progressivamente il settore civile per investire nel comparto delle armi seguendo “l'utopia” di una politica industriale degli armamenti che offre meno posti di lavoro di altri comparti tecnologici, promuovendo di fatto i conflitti armati diffusi a livello planetario e con una scarsa ricaduta economica sul territorio? Perché non si destinano fondi pubblici alla riconversione dell'industria bellica come pure aveva previsto dalla legge?
3. Come mai l'Italia ospita sul suo territorio, nelle basi militari di Aviano e Ghedi, 70 bombe nucleari B61 quando può legittimamente chiedere agli Stati Uniti di riprendersi questi strumenti di morte come hanno fatto altre Nazioni che appartengono all’Alleanza atlantica?