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Gli schiavi dell'agricoltura

Etica
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L'estate del 2024 ha avuto il suo avvio con la drammatica morte del bracciante indiano Satnam Singh, avvenuta a giugno nei campi dell'Agro Pontino.

Non so se ve ne siete accorti, ma la carta stampata, sia nazionale che locale, ha condotto un giornalismo d'inchiesta abbastanza serrato sulla situazione del caporalato in agricoltura e anche negli allevamenti clandestini presenti nel nostro Paese. A differenza delle TV, che hanno taciuto notizie ed immagini, la stampa ha fornito dati sufficientemente drammatici ed inquietanti sulla riduzione in schiavitù di migliaia di lavoratori impegnati nei campi italiani dal Nord a Sud del Paese.

Ciò che turba è il tragico epilogo di una situazione di “normale sopraffazione”, che tutti conoscono, facendo emergere una piaga dilagante soprattutto nel settore agricolo e che va a connettersi strettamente con il fenomeno delle migrazioni. È appunto lo stato di bisogno e la fame di questi ultimi a rendere scandalosamente operativi decine e decine di “scarafaggi” pronti a sfruttare e a lucrare sulla miseria altrui.

I fenomeni migratori hanno purtroppo contribuito ad irrobustire il ruolo della forza lavoro migrante in quanto la loro richiesta di occupazione va a sanare la carenza di manodopera a basso costo, non più così tanto disponibile nella popolazione autoctona.

Il caporalato è un'organizzazione illegale che si occupa del reclutamento di lavoratori braccianti, pagati a giornata. Gli intermediari, ovvero i caporali, forniscono la manodopera al datore di lavoro e trattengono per sé una parte del compenso.

Negli ultimi anni caratteristica sempre più diffusa ed inquietante è aver affidato il lavoro “sporco” del caporale a migranti più scaltri, ma anche aggressivi e violenti. Ecco, allora, che le cronache riportano di “caporali” indiani, pakistani, nordafricani, albanesi, macedoni.

Dai Rapporti diffusi dall'Osservatorio Placido Rizzotto su Agromafie e Caporalato e dall'Associazione Terra! emerge un quadro dello sfruttamento lavorativo degno di un Paese che ha deciso di fare dello schiavismo il suo motore economico.

Il caporalato riguarda da vicino almeno 230mila lavoratori nelle campagne italiane, persone non titolari di contratti regolari di lavoro e quindi senza diritti. Di questi, 55mila sono donne e il 30% è costituito da cittadini italiani o dell’Unione europea, il restante 70% sono migranti extra-comunitari

Non sono riconosciute tutele o diritti garantiti da contratti o leggi vigenti. La paga media oscilla intorno ai 20-30 euro al giorno, ma il lavoro a cottimo è la proposta ancora più utilizzata. Il salario è inferiore almeno del 50% rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali e provinciali. I lavoratori sotto caporale devono oltretutto pagare a questi ultimi il trasporto a seconda della distanza (mediamente 5 euro) e i beni di prima necessità (1,5 euro per una bottiglietta d'acqua, 3 euro per un panino). Non è infrequente anche la richiesta, o meglio, la sottrazione dal salario di spese per “alloggiamento”, rappresentato spesso da tuguri precari e malsani. L'orario medio va dalle 10 alle 12 ore di lavoro al giorno, ma si arriva anche a 14.

Dall' Osservatorio emerge che “delle 405 aree di caporalato diffuso riconosciute, più della metà sono al Nord (84 nel Nord-Est e 45 nel Nord-Ovest), poi 123 si trovano al Sud, 82 nel Centro e 71 nelle isole.

Ecco le aree regionali dove il mercato degli “schiavi” espone in forme più o meno occulte la propria forza lavoro per dirigerli alle attività di sfruttamento

- In Lombardia troviamo la filiera dei meloni nel mantovano. Le fabbriche delle insalate nelle province di Brescia e Bergamo guidano con il 31% la filiera delle insalate in busta insieme al restante 30% concentrato nella Piana del Sele in Campania . Ancora, gli allevamenti e la macellazione di suini di Mantova e Cremona. La Lombardia, da sola, detiene il 50% dei suini di tutto il territorio nazionale. L'estrema frammentazione della macellazione e dei processi di trasformazione ha come risultato un sotto-inquadramento contrattuale dove la manodopera è di gran lunga assoldata tra i migranti.

- In Piemonte sono emersi 24 casi di caporalato che vedono denunciare irregolarità tra i meleti del saluzzese, le vigne delle Langhe, le pesche nell'albese. In Piemonte il settore agricolo occuperebbe circa 60.000 addetti, 20.000 dei quali attinti dal bacino dei migranti

- In Sicilia la presenza di un gran numero di migranti presenti temporaneamente in quel territorio prima di dirigersi altrove ha portato all'aumento di forza lavoro a basso costo . Nella provincia di Siracusa per la raccolta delle patate l'arruolamento di stranieri è pratica consolidata da anni

- La raccolta del pomodoro trova interessate province dell'Emilia Romagna, della Campania, della Puglia, della Calabria. Per queste ultime si ha lo stesso scenario per la raccolta delle olive, degli agrumi, delle angurie.

Va detto, o meglio denunciato, che a favorire le irregolarità è la Grande distribuzione organizzata che impone prezzi bassi ai produttori che vanno a ripercuotersi sui diritti dei lavoratori

L'Italia solo nel 2016 si è dotata di uno strumento legislativo, la Legge 199, con l'introduzione di una norma che “punisce chiunque recluta, assume, impiega o gestisce lavoratori in condizioni , di sfruttamento, approfittando dello stato di necessità in cui si trovano.”

Ma proprio in questa “bollente” estate, dove sembrano essersi moltiplicati i casi di caporalato, ha fatto capolino, dal 2 agosto, il nuovo Dl 103/2024 che fornisce semplificazioni in termini di controllo delle attività e, in particolare , si “offre” un “preavviso delle ispezioni”. In particolare l'Art. 8, comma 5 recita: “l'amministrazione fornisce in formato elettronico, almeno dieci giorni prima del previsto accesso presso i locali dell'attività economica, l'elenco della documentazione necessaria alla verifica ispettiva”.

Secondo voi, con questo “aiutino”, troveremo presunti “caporali” intenti alla loro sporca attività e frotte di irregolari sottopagati al lavoro in campi agricoli o stalle d'allevamento?

Patrizia Ferrara