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Dom, Dic
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Bibbia per tutti - Abramo e Melkisedeq

Etica
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Al termine della guerra che Abramo vinse contro i quattro re della Mesopotamia per liberare il nipote Lot, avevamo già conosciuto Melkisedeq “re di Salem” (Gerusalemme) che “era sacerdote del Dio Altissimo” e che benedisse Abramo.

Il suo nome è composto da due parole ebraiche: “Melek” che significa re e “sedeq” che vuol dire giustizia ed anche sacerdote di El Eljon, cioè Dio delle alture, di ciò che sta in alto, titolo divino diffuso anche in Fenicia e presso i Cananei. Nel versetto 22 della Genesi anche Abramo applicherà questo titolo: “giuro davanti dal Signore, Dio altissimo, creatore del cielo e della terra.”

Melkisedeq porta pane e vino come segno di ospitalità per chi passa sul suo territorio, poi benedice Abramo “che gli diede la decima parte del bottino” conquistato in guerra.

Cosa ci dicono questi versetti?

Il pane e il vino sono segno antico di ospitalità e di alleanza, ma qui c’è anche un rito di ringraziamento per la vittoria di Abramo. Con l’Eucarestia si rende grazie per la vittoria di Gesù sul male attraverso la sua morte e resurrezione. Fin dalla Chiesa delle origini i cristiani hanno letto in questi versetti una profezia dell’ultima cena, di una nuova alleanza e della figura di Gesù come re-sacerdote di pace, proprio come Melkisedeq. Come lui non è legato alla discendenza sacerdotale ufficiale, quella della tribù di Levi. I leviti appunto erano per nascita i sacerdoti di Israele: Gesù invece era della tribù di Giuda e non poteva aspirare al sacerdozio.

Melkisedeq appare all’improvviso, non si sa da dove viene, a quale famiglia appartenga, cosa farà dopo, ma si legge nel Salmo 110 “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melkisedeq”.

Il nostro buon San Paolo nella lettera agli ebrei scrive: “Egli senza genealogia, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno…ora è sorto a sua somiglianza un sacerdote differente … Gesù è diventato garante di quest’alleanza migliore e può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio. Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchie ed elevato sopra i cieli”.

Melkisedeq benedice Abramo e riceve da lui la decima: questa tassa a favore del re e del Tempio era prassi abituale per i popoli antichi, sia in Grecia che a Roma, e serviva per il mantenimento dell’apparato regale e sacerdotale. La notazione di Abramo che dà la decima è rivolta a quei gruppi che al tempo dei re d’Israele erano restii a sottomettersi a tale pratica e anche verso coloro che dopo l’esilio babilonese contestavano la decima per il Tempio per mantenere i leviti.

Al tempo di Gesù la comunità di Qumran, il gruppo degli Esseni e i discepoli di Giovanni Battista si rifiutavano di pagare questa tassa. Quando viene richiesta a Gesù, Pietro viene spedito a pescare, trova i soldi in un pesce, li dà a Gesù che paga per tutto il suo gruppo.

Noi cattolici non abbiamo più la decima, ma il contributo al Tempio sono le offerte domenicali, però il monito vale anche per noi: persino Abramo paga la decima, perfino Gesù lo faceva per mantenere i sacerdoti e le loro opere. Insomma, per aiutare chi è nel bisogno… siate generosi!

Che fine fa il nostro Melkisedeq?

L’antico Testamento lo cita sol nel salmo 110 e il nuovo Testamento solo nella lettera agli ebrei poi basta…I rabbi dicono che scompare dalla storia della salvezza come punizione perché ha commesso un grande errore: “egli pronunciò la benedizione in modo sconveniente, perché pronuncio prima il nome di Abramo e poi Dio. Per questo il Signore lo punì privandolo della dignità sacerdotale che conferì ad Abramo e alla sua discendenza”.

Testi apocrifi parlano di Melkisedeq: a volte lo indicano come esempio, mentre per la comunità di Qumran è una figura importante: “libererà gli ebrei dalle mani di Satana… i figli della luce sono del partito di Melkisedeq”. Per loro è un salvatore che non ha natura umana, ma angelica e guida i figli della luce, cioè gli appartenenti della comunità.

Nel libro della Genesi Abramo, dopo aver salutato il re di Salem, se ne torna alle querce di Mamre, dove riceve da Dio una seconda vocazione molto simile a quella del capitolo 12: “Non temere Abram. Io sono il tuo scudo, la tua ricompensa sarà molto grande” (15,1). Lo scudo è una metafora che proviene dal linguaggio liturgico ed è usata solo qui in Genesi: i Salmi, cantati durante le liturgie, ne sono invece pieni come “Tu sei li mio scudo Signore, sei la mia gloria”  o “Il Signore è mia forza e mio scudo” e in almeno altri dieci versetti simili.

Questo perché Abramo è in crisi di fede, ha un cruccio, la sua fiducia in Dio traballa… perché?

Ne parliamo la prossima volta.

Enrico De Leon