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Dom, Dic
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No all'utero in affitto, diciamolo chiaro!

Etica
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Anziché chiamare le cose col loro nome sovente si ricorre a sigle o giri di parole: g.p.a, gestazione per altri, maternità surrogata,

ma l’espressione “utero in affitto” è quella che nella stragrande maggioranza dei casi meglio descrive questo tipo di “contratto”, perché in fondo di questo si tratta. Anche se, invece di “compenso”, si preferisce parlare di “rimborso spese” o “indennità”. Una donna, attraverso tecniche svariate, porta in grembo per nove mesi un figlio e poi lo partorisce per consegnarlo a chi lo ha commissionato.

Solo la fervida fantasia autoreferenziale di un Niky Vendola può affermare che tutte queste madri surrogate sono esclusivamente animate da altruismo e filantropia. Basta vedere quello che già accade in USA, da sempre all’avanguardia nei diritti civili (… ma sarà vero?), dove la maternità surrogata è un gigantesco business per agenzie e cliniche specializzate che garantiscono privacy, sicurezza del risultato e “prodotto” garantito. Il prodotto finale, appunto, è il figlio che eventualmente può essere selezionato come da catalogo in base ad accurati studi genetici. All’estero una madre surrogata costa meno e ci sono meno grane burocratiche: le mete più gettonate per aspiranti genitori che vogliono un figlio tutto loro, costi quel che costi, sono India, Nepal, Messico, Thailandia, Ucraina (un po’ meno dopo l’inizio della guerra). È innegabile che questi paesi siano canali facilitati per trovare donne, spesso povere materialmente e culturalmente, disposte a offrire gratis (!?) il proprio corpo per fare un figlio per conto di altri.

Ma possibile che a nessuno venga in mente la parola “sfruttamento”?

In Italia la pratica dell’utero in affitto è ancora vietata dalla legge. Anzi la Corte Costituzionale ha più volte ribadito che “la maternità surrogata offende la dignità della donna minando nel profondo le relazioni umane”. Ma anche nel nostro paese la cosiddetta G.p.a sta trovando crescenti spazi. “Massì, in fondo che c’è di male”, comincia a dire qualcuno, tanto vale legalizzarla.

Nelle settimane scorse il clima politico si è arroventato per la questione della trascrizione anagrafica dei figli nati all’estero da surrogata per coppie omosessuali, ma in realtà la questione dell’utero in affitto riguarda anche le coppie eterosessuali. Il centro destra vuole introdurre una legge che consideri questa pratica come “reato universale”, a prescindere dal paese in cui viene commesso. La sinistra in realtà non s’è capito bene cosa vorrebbe fare: se far diventare la g.p.a. un nuovo “diritto civile” o se bloccarla e sanzionarla.

Certo è che una parte del movimento femminista, non appiattita sulle posizioni del radicalismo individualista, sulla questione ha le idee chiare. Per esempio Francesca Izzo, docente universitaria, una delle fondatrici del movimento femminista “Se non ora quando?” in una recente intervista al quotidiano Avvenire, non si pone tanti “se” e tanti “ma” e dice: “Guardi, io faccio parte della Coalizione internazionale per rendere reato universale la maternità surrogata sulla base di un principio semplice: consideriamo la maternità surrogata una pratica che ha un fondo di disumanità perché spezza l’unicità del processo riproduttivo umano. Questo processo, che si genera da una singola donna e da un singolo bambino, non replicabili o riproducibili, viene segmentato e diviso in pezzi. È come un assemblaggio per fabbricare bambini secondo le peggiori regole del mercato. Si toglie alla donna che affitta l’utero la sua identità e il bambino diventa una merce”. La professoressa Izzo, con altre donne, qualche anno fa è uscita polemicamente dal Pd proprio per le ambiguità del suo partito sulla questione dell’utero in affitto.

Sostiene infatti Francesca Izzo, “considerare un diritto civile una pratica che prevede la compravendita della pancia di una donna allo scopo di fabbricare un bambino è l’esito, a mio avviso, di un completo stravolgimento di quei valori che hanno fatto grande la civiltà europea: la dignità di ogni essere umano, la libertà che non può̀ ridursi alla disponibilità a mettere se stessa o parti di sé sul mercato e l’assoluta unicità di ogni neonato che non può̀ e non deve essere ridotto a merce. Noi abbiamo tenacemente combattuto contro l’utero in affitto fino a rivolgerci, insieme ad altre associazioni, movimenti e singole personalità, a varie istanze internazionali e all’Onu per chiederne la messa al bando universale”.

Va giù pesante pure la femminista Marina Terragni: “Il primo diritto di un bambino è non essere separato dalla donna che l’ha partorito che per lui è sua madre. La rottura per soldi di quella relazione è una catastrofe per il piccolo umano e anche per la civiltà”.

Ni.Co.