Qualche settimana fa ha fatto il giro del web la notizia che a Melbourne, in Australia, una ragazza ha deciso di identificarsi come gatto.
A scuola non parla più con i compagni, vive in un mondo tutto suo, perché ha deciso di non appartenere non più alla specie umana.
Qualcuno penserà che si tratti di un nuovo espediente per evitare le interrogazioni, ma andiamoci piano con le battute, perché il politicamente corretto potrebbe aversela a male. Alcuni insegnanti invocano l’aiuto degli psicologi ed eventualmente di psichiatri, sono preoccupati e ritengono di trovarsi di fronte ad un’allieva con evidenti disturbi della personalità, altri invece l’assecondano ed anzi favoriscono questi suoi nuovi comportamenti da gatto. La scuola - sostengono - deve lasciare esprimere liberamente l’identità degli studenti, qualunque essa sia e comunque si manifesti, libera da condizionamenti imposti dalla società. Le pulsioni non vanno represse: è sufficiente che non disturbi le lezioni e che non graffi i compagni... Se lei si sente un gatto è davvero un gatto e tanto basta.
Si potrebbe pensare a una fake news, tra le tante in circolazione, ma la questione è che non si tratta un caso isolato. Sempre a Melbourne c’è uno studente che da un po' di tempo si autoidentifica come cane, mentre a Brisbane un gruppo di studentesse si identifica come volpi e quando può preferisce camminare a quattro zampe, convintissime di avere la coda.
Cosa mai starà capitando in Australia?
Questi e altri casi fanno parte del mondo “Furry”, fenomeno nato ormai qualche decennio fa - manco a dirlo - negli Stati Uniti. Partito come movimento artistico di nicchia, ha tratto ispirazione da disegni e cartoni animati che raffigurano animali antropomorfi. I Furries nel recente periodo sono numericamente lievitati assumendo le più svariate configurazioni e sfaccettature. Si tratta per lo più di persone che amano travestirsi da animali per manifestare la loro nuova identità di “fursona”, termine che per l’appunto è un mix tra furry (in inglese letteralmente significa “peloso”, appartenente ad una specie animale) e persona. Il web ed in particolare i social hanno rapidamente veicolato ed amplificato le tendenze “furries” e il fenomeno si sta diffondendo anche in Italia. Curiosità di provare nuove sensazioni e spirito di emulazione tra i giovanissimi, alimentati da Facebook e TikTok: il denominatore comune di questi gruppi è la progressiva e spesso grave perdita di connessione con la realtà oggettiva. “Creare una fursona è un esercizio creativo, che può avere una serie di benefici psicologici. Inventare un personaggio può aiutarti a pensare a chi sei come persona e a chi vorresti diventare. I fursona sono una forma di autoespressione”, si afferma sul sito di una community di furries italiani.
In America slogan come questi tengono banco nelle sempre più affollate convention della galassia furry “Sai di essere più di un essere umano… oggi sei l’animale che vive dentro la tua mente!”.
Moda, folclore, carnevalata permanente? Fatto sta che in un futuro troppo lontano sarà perfettamente normale autocertificarsi come gatto, coniglio, volpe e quant’altro.
Non sarebbe invece il caso di tornare un po’ a ragionare?
Cfl